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Jobs act, i primi dati. I contro della riforma del lavoro di Renzi
lunedì 13 aprile 2015, di
A un mese abbondante dall’entrata in vigore del Jobs act, la riforma del lavoro targata Renzi, iniziano a essere tirati i primi bilanci.
Se le innovazioni apportate dall’entrata in vigore del contratto a tutele crescenti, caposaldo del Jobs act, hanno generato entusiasmo nei confronti della riforma, è tuttavia vero che i primi dati non sembrano rispettare le aspettative create.
Matteo Renzi aveva annunciato 79mila contratti a tempo indeterminato, sottolineando che la riforma avrebbe creato i presupposti per la creazione di nuovi posti di lavoro. Gli entusiasmi sono stati subito raffreddati dall’Istat che ha negato la creazione di nuovi posti di lavori sottolineando, addirittura, che a febbraio gli occupati sono scesi di 44mila unità soprattutto ai danni di giovani e donne sempre più anelli deboli del sistema.
Jobs act, lavoratori a tempo indeterminato a rischio
Se è vero che gli effetti positivi della riforma hanno toccato i lavoratori con forme contrattuali precarie che hanno visto convertire i loro contratti di lavoro nella forma del contratto a tutele crescenti, è anche vero che a essere penalizzati sono stati i lavoratori dipendenti che, all’entrata in vigore del Jobs act, avevano già in essere un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Per i datori di lavoro, infatti, la nuova forma contrattuale risulta essere più vantaggiosa rispetto al contratto a tempo indeterminato classico. Fattore, questo, che potrebbe portare gli stessi a voler rimpiazzare chi usufruisce delle vecchie regole con chi può essere assunto con il contratto a tutele crescenti.
Jobs act, peso per i conti pubblici?
Anche dal punto di vista dei conti pubblici la riforma sembra creare qualche problema.
Nella Legge di stabilità si prevedeva infatti l’utilizzo delle agevolazioni per circa un milione di lavoratori con un costo a carico dello Stato di circa 1,9 miliardi di euro nel 2015 e di 5 miliardi tra il 2016 e il 2017. Sembra, tuttavia, che i costi potrebbero essere maggiori: a tal proposito in questi giorni l’Inps e la Ragioneria dello Stato potrebbero far presente al Governo la cosa, mentre la Fondazione dei consulenti del Lavoro ha già parlato di un costo aggiuntivo per lo Stato di quasi 3 miliardi di euro solo per il 2015.
Jobs act, comportamenti scorretti da parte delle aziende
A far temere sono anche i comportamenti scorretti delle aziende che hanno interesse ad assumere avvalendosi del contratto a tutele crescenti per poter usufruire degli sgravi previsti.
Ciò che si teme, in particolar modo, è il fatto che le aziende possano lucrare sulla pelle dei lavoratori; secondo uno studio della Uil, infatti, un’azienda che assume oggi con gli sgravi per poi licenziare quando questi saranno aboliti pagando al lavoratore l’indennizzo previsto dalla legge avrebbe comunque un risparmio, nell’arco di tre anni, di circa 15mila euro.
«Per questo abbiamo chiesto al governo di prevedere che in caso di licenziamento illegittimo il lavoratore riceva, oltre alle quattro mensilità minime previste dalla legge, anche gli sgravi contributivi e fiscali percepiti dall’azienda. Non ci hanno neppure risposto» ha commentato Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil.