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Il Cnel vede nero: impossibile per l’Italia tornare ai livelli occupazionali precrisi. E avverte: "licenziare da noi è più facile che in Germania"

martedì 30 settembre 2014, di Alessandro Iacopini

Per l’Italia sarà impossibile tornare ai livelli d’occupazione precrisi. A dirlo è il Comitato nazionale di economia e lavoro, Cnel.

Secondo il Cnel sono necessari almeno 2 milioni di nuovi posti di lavoro da qui al 2020 affinché il tasso di disoccupazione scenda fino al 7%, il livello del 2008.

Quest’ipotesi, continua il Cnel, è assolutamente irrealizzabile: tutti i dati econometrici degli scenari macroeconomici studiati, dimostrano che è impossibile la creazione di così tanti posti di lavoro in così’ poco tempo.

Disoccupazione reale al 30%
Ma non solo, perché nel frattempo il lavoro continua a diminuire. Soprattutto se tengono in considerazione tutte le persone che realmente non lavorano – inoccupati, inattivi, e disoccupati parziali -, categorie che non rientrano nella statistica della disoccupazione.

“Allargando il campo nella definizione più ampia, il tasso di disoccupazione è giunto a superare il 30% nel 2013, senza peraltro mostrare segnali di rallentamento nella prima parte del 2014. I progressi per il mercato del lavoro italiano non potranno che essere molto graduali. Anche nella migliore delle ipotesi Il sistema potrebbe iniziare a beneficiare di un contesto congiunturale meno sfavorevole non prima dell’inizio del 2015”.

Le previsioni del Cnel stridono con quelle fatte a marzo dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi che, scommettendo sul successo del Jobs Act, aveva parlato un tasso di disoccupazione sotto il 10% già nel 2018.

Crollo del potere d’acquisto
Secondo il Cnel, inoltre, La crisi occupazionale si è riversata sul potere d’acquisto dei salari, crollato del 6,7% dal 2009 e il 2013 e tornato ai livelli del decennio scorso. Il Cnel sottolinea che:

“il potere d’acquisto dei salari ha registrato un andamento abbastanza peculiare, con un significativo incremento nelle prime fasi della crisi e una caduta altrettanto marcata negli anni successivi, che ne ha riportato il valore sul livello della metà degli anni duemila".

Più facile licenziare in Italia che in Germania
Oggi l’Istat ha inoltre certificato che la disoccupazione giovanile ha toccato ad Agosto il 44,2%, (+1% rispetto a luglio, +3,6% su base annua), il livello più alto dal 1977. Complessivamente, la disoccupazione in Italia è scesa al 12,3%.

Numeri che rendono chiaro il triste quadro del lavoro in Italia e che stridono con le infinite polemiche di questi giorni sull’articolo 18: dibattiti inutili e ideologici, che poca attinenza hanno con la realtà.

Anche perchè, come spiega ancora il Cnel:

“la normative sul lavoro introdotte negli ultimi 20 anni hanno reso il lavoro più flessibile con il risultato che oggi, in Italia, è più facile licenziare che in Germania, Francia e Olanda”.

Se negli anni Novanta l’economia italiana si caratterizzava per una regolamentazione molto rigida del mercato del lavoro, ora però:

" la situazione del mercato del lavoro italiano è cambiata e il nostro Paese ha guadagnato un certo grado di flessibilità. Nei ranking dell’Ocse il grado di protezione dei rapporti di lavoro in Italia nel 2013 risultava inferiore a quello francese, e prossimo ai livelli riscontrati in Germania e Spagna”.

Quindi, conclude il rapporto del Cnel:

"Considerando congiuntamente il grado di protezione fornito nel caso dei licenziamenti individuali e collettivi, attualmente l’Italia risulta essere addirittura più flessibile della Germania, al cui modello la riforma Fornero si era all’epoca ispirata; anzi, il sistema tedesco risulta ora in cima alla classifica dell’Ocse seguito da Belgio, Olanda, Francia e poi dall’Italia”.

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