Home > Altro > Archivio > Guerra di valute? Non esiste! Ecco perché dal Financial Times

Guerra di valute? Non esiste! Ecco perché dal Financial Times

martedì 12 febbraio 2013, di Federica Agostini

La guerra di valute non esiste, perché tutto quello che fanno le banche centrali per difendere e promuovere le economie nazionali è previsto dai rispettivi mandati. Così, Philipp Hildebrand, ex Governatore della Banca Centrale della Svizzera, scrive sul Financial Times la propria visione relativa alla possibilità di una guerra di valute, facendo particolare riferimento alle diverse condizioni in cui agiscono la Bank of Japan da una parte, e la Bank of England e la Federal Reserve, dall’altra.

Financial Times: La guerra di valute non esiste

Quando i ministri delle finanze si incontreranno a Mosca in occasione del G20, qualcuno di loro sarà certamente tentato di catturare le testate di tutti i giornali lamentando l’avvento di questo nuovo round di "guerra valutaria". Tuttavia, i funzionari dovrebbero resistere, perché la guerra di valute non esiste.

Questo perché le banche centrali stanno semplicemente facendo ciò che devono ed hanno sempre fatto. Le banche centrali stabiliscono una politica monetaria che sia in linea con il rispettivo mandato nazionale. Ciò che è cambiato è che dall’avvio della crisi, le banche centrali hanno dovuto fare affidamento su una serie di misure "non-convenzionali" con lo scopo di rilanciare le economie assopite.

Negli Stati Uniti, ad esempio, il tasso di disoccupazione è di due punti percentuali al di sopra della media del dopoguerra. Nel Regno Unito, la produzione rimane al 3% al di sotto del livello del 2007.

I mandati delle banche centrali

In entrambi i paesi, il mandato delle banche centrali ne chiarifica le responsabilità: prendere provvedimenti per fornire stimoli economici. La Federal Reserve, per esempio, ha il compito di promuovere l’occupazione, la stabilità dei prezzi e moderare i tassi di interesse sul lungo termine.

Nel Regno Unito, la Bank of England ha come mandato la stabilità dei prezzi, ma in nome di questa è richiesto "il supporto della politica economica del Governo di Sua Maestà, inclusi gli obiettivi per la crescita e l’occupazione".

Tuttavia, la natura dei problemi giapponesi è diversa e ha una storia più lunga. In Giappone l’inflazione è stata negativa, in media, per circa un decennio. Un contesto che non sarebbe tollerato in alcun modo in nessuna economia sviluppata. E il recente desiderio annunciato di portare l’inflazione al 2% sembra risuonare come una dichiarazione di guerra.

La risposta naturale al problema che vivono le economie sviluppate sarebbe quella di tagliare i tassi di interesse. Ma ci è rimasto poco da tagliare. Il passo successivo potrebbe essere quello di impegnarsi per tassi di interesse bassi per uno specifico periodo di tempo, come ha fatto la Federal Reserve. Ma le aspettative per future politiche dei tassi di interese sono incredibilmente basse: l’aumento dei tassi non è previsto dai mercati almeno fino al 2015, tanto per gli Stati Uniti, quanto per il Regno Unito. E ancora la domanda rimane debole.

Banche centrali: nascondono qualcosa?

E’ questo il prisma attraverso il quale bisognerebbe guardare all’estensione dei fogli di bilancio delle banche centrali. E’ accaduto qualcosa che possa suggerirci che le banche centrali abbiamo improvvisamente deciso di sovvertire i meccanismi abituali?

Bene, sembra difficile immaginare che gli Stati Uniti o il Regno Unito stiano cercando di mantenere i tassi di interessi spiacevolmente depressi per promuovere le esportazioni. Entrambi i paesi, infatti, hanno un deficit della bilancia dei pagamenti che equivale circa al 3% del rispettivo prodotto interno lordo. E ciò accade nonostante una sommessa domanda nazionale e una richiesta di importazioni stranamente bassa.

Ancora una volta, il caso del Giappone è differente. L’economia nipponica continua a riportare un surplus della bilancia commerciale. Il deprezzamento dello Yen può continuare promuovere tale surplus almeno nel breve periodo. Tuttavia, ciò potrebbe e dovrebbe essere parte del meccanismo mediante il quale il Giappone torni ad avere un tasso di inflazione più alto.

Come tutte le politiche monetarie, non dovremmo essere sorpresi del fatto che le azioni delle banche centrali abbiano effetti sul tasso di cambio nominale. Fino a quando le banche centrali operano per raggiungere gli scopi prefissati dai loro mandati, tutto ciò dovrebbe essere accettato come parte naturale del meccanismo di riaggiustamento.

Si può simpatizzare per le economie emergenti, che potrebbero risentire di più l’effetto di questi riaggiustamenti. Ma certamente la risposta non può indurre le banche centrali delle economie sviluppate a distaccarsi dai propri mandati. Piuttosto, le economie emergenti dovrebbero concentrarsi su una politica monetaria sensibile ai mandati nazionali, con un tasso di cambio di libera attribuzione sul mercato.

Il caso della Swiss National Bank

C’è un’economia, piccola e particolarmente aperta dove i movimenti della valuta non sono semplici conseguenze di politiche monetarie convenzionali o non-convenzionali, ma piuttosto dove la banca centrale ha scelto di influenzare il tasso di cambio in maniera diretta. Nel settembre 2011, quando ero a capo della Swiss National Bank, la banca ha annunciato che non avrebbe più tollerato un tasso di cambio del Franco Svizzero contro l’Euro inferiore della soglia 1.20. E per permettere l’attuazione di questa politica, la banca avrebbe stabilito acquisti della valuta straniera in quantità illimitata.

Ma anche in questo caso, la banca centrale ha agito nei limiti del proprio mandato. I rischi latenti di deflazione sono stati affrontati nel momento in cui i tassi ufficiali hanno raggiunto il minimo legale e gli ostacoli avevano reso impossibile l’adozione di altre misure di politica monetaria. Lo sviluppo dei prezzi da allora sembra aver convalidato l’azione politica della SNB: tasso al minimo, nonostante l’inflazione negativa per tutto il 2012.

Battaglie sì, guerra no.

Le battaglie di politica monetaria sono state sempre combattute e continueranno ad esserlo. Si tratta di lotte contro la domanda debole, l’elevato tasso di disoccupazione e le pressioni deflazionistiche. Il rischio maggiore per l’economia del mondo sorge se le banche centrali decidono di non intervenire nelle battaglie.

Queste battaglie moentarie sono giustificate e ampiamente previste dai mandati legali delle banche. Non sono guerre di valute.

Traduzione a cura di Federica Agostini Fonte: Financial Times

Un messaggio, un commento?

moderato a priori

Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Chi sei?
I tuoi messaggi

Questo form accetta scorciatoie di SPIP [->url] {{bold}} {italic} <quote> <code> e il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare un paragrafo lasciate semplicemente una riga vuota.