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Futuro dell’Euro tra austerity e crescita: qual è la vera minaccia? Financial Times

venerdì 31 maggio 2013, di Federica Agostini

Philip Stephens, giornalista ed editorialista del Financial Times scrive "l’Europa è in corsa in una gara tra crescita e populismo". Mentre l’economia abbandona progressivamente l’austerity per tornare a parlare di crescita, la vera minaccia per il futuro dell’Euro, scrive l’autore nell’analisi che traduciamo di seguito, è rappresentata da quelle forze populiste che tentano di sovvertire l’ordine liberale che sostiene l’Europa.

Europa: in corsa tra crescita e populismo

Prendete una manciata di leader politici Europei, chiudeteli in una stanza e ciò che otterrete sarà una discussione sull’avanzata di forze politiche populiste nel vecchio continente. Un anno fa, gli stessi politici sarebbero stati ossessionati dalla minaccia dei mercati finanziari all’Euro. Oggi, invece, ci si domanda se la democrazia Europea possa sopravvivere ai costi di salvataggio della moneta unica.

L’età dell’austerity è ormai agli sgoccioli. Giorni fa, l’OCSE ha ospitato un acceso dibattito "Austerità vs. Crescita", ma la scelta è sbagliata: l’austerity è una politica, la crescita un obiettivo.

Ciò che più mi stupisce è l’ostinata ostilità con la quale esperti e politici guardano alla possibilità che l’Europa mantenga salde politiche fiscali deflazionistiche. L’Europa dovrebbe invece considerare come spingere l’acceleratore della crescita (nonostante i tagli) abbia trasformato le prospettive di bilancio degli Stati Uniti.

Dunque la decisione presa questa settimana dalla Commissione Europea di allentare le redini dell’austerità fiscale è stata ben accettata tanto dalle realtà politiche, quanto quelle economiche. Oggi, l’economia Europea ancor più dell’euro ha bisogno di rianimazione e, con essa, l’autorità dell’ordine politico costituito.

Il cambiamento dell’austerity non è stato poi così radicale come annunciato. A Francia e Spagna è stato concesso tempo supplementare per soddisfare ai loro bisogni di riduzione del deficit. L’Italia è uscita dalle "misure speciali" sulla riduzione di bilancio. Ma in realtà, ciò che è accaduto è che gli obiettivi di bilancio nominali sono stati sostituiti dall’attenzione sui deficit strutturali. Nessuno ha parlato di grandi stimoli all’economia.

Passata la febbre da spread, l’austerity deve cedere il posto alla crescita

L’austerity ha spazio per rilassarsi. Il deficit delle economie periferiche duramente colpite dalla crisi è sceso sensibilmente. Così anche lo spread sui mercati obbligazionari. Alcuni di questi paesi, addirittura vive un surplus strutturale e la maggior parte raggiungerà il bilancio primario entro il 2014. Quei paesi che hanno visto lo spread impennarsi, hanno allo stesso tempo raggiunto importanti miglioramenti sui disavanzi. In particolare in Italia, ciò riflette il collasso della domanda domestica. Ma in molti casi anche le esportazioni hanno ripreso ad aumentare, come in Irlanda, Spagna e Portogallo.

Questi paesi hanno smesso di dipendere dagli investitori stranieri sui mercati obbligazionari. I deficit fiscali possono essere finanziati sul mercato nazionale. Ciò ha spinto Daniel Gros, del Centre for European Policy Study, ad elaborare un’interessante teoria.

Per i termini con i quali è stato impostato, il dibattito sull’austerity non centra il vero punto. La vera crisi, dice il professor Gros, ha riguardato maggiormente il debito "straniero" e "sovrano".

Il Belgio, con un rapporto debito/pil al 100%, non è mai stato nel mirino dei mercati. Dunque, il recente calo degli spread riflette che negli stati periferici del Sud, come in Belgio, il debito possa essere finanziato a livello nazionale.

In ogni caso, il cambiamento delle posizioni nella bilancia dei pagamenti renderà la Germania un po’ (sottolineo "poco") più rilassata riguardo alla virata messa in opera dalla Commissione. Ci sarà sempre qualcuno a Berlino, inorridito dai tentativi di gettare via il rigore fiscale, ma i sostenitori della Merkel da tempo si concentrano sulla competitività, più che sul deficit di bilancio.

L’ambizione della Germania in tutto ciò è rendere sostenibile una forma di convergenza nella zona Euro e in questo senso, i bilanci si sono mossi nella giusta direzione.

Una stretta fiscale meno draconiana offrirebbe la possibilità di accelerare il ritmo delle riforme strutturali. Queste funzionerebbero meglio promuovendo gli investimenti e creando posti di lavoro in una prospettiva in cui è lecito supporre che le economie cresceranno. Aprire la porta delle opportunità alle generazioni di giovani bloccati fuori dal mondo del lavoro, questa è la priorità.

Tra politica ed economia: la rabbia e la disaffezione degli elettori

Ero a Roma l’altro giorno ed ho intervistato Enrico Letta, il nuovo primo ministro dell’Italia. Letta più di altri conosce i pericoli del populismo. Il suo governo, una grande coalizione di sinistra e destra è emerso da una condizione di stallo creata dall’ascesa politica del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Come i populisti di tutto il continente, Grillo fa appello ai diseredati.

La mia sensazione è che l’onorevole Letta, la cui coalizione potrebbe sopravvivere più a lungo di quanto suggerisca la speculazione, non intenda ripristinare le frontiere della prudenza fiscale o abbandonare gli sforzi di modernizzazione economica in Italia. Ma ha ragione quando dice che nessun primo ministro può permettersi di ignorare la disaffezione di 8 milioni di elettori. Ed ha ragione anche quando dice che i grandi vincitori delle prossime elezioni in Europa potrebbero essere proprio quelle forze anti-europee di destra o sinistra.

L’Italia ha Grilo. La Francia ha National Front. In Gran Bretagna c’è UKIP. In Finlandia i True Finns, in Grecia il partito di estrema destra. Ciò che accomuna questi schieramenti politici è la disponibilità ad incolpare gli stranieri per i mali nazionali e l’abilità di trasformare la disoccupazione giovanile in rabbia contro le istituzioni politiche.

Ma intanto il tempo scorre

Ci sono cose che i governi possono fare. L’Europa ha un sistema bancario disfunzionale, sistemarlo significherebbe iniziare a crescere. La Banca Centrale Europea può fare di più per stimolare la domanda interna. Alcune riforme sul lato dell’offerta potrebbero abbattere finalmente alcune delle barriere che tagliano i giovani fuori dal mercato del lavoro.

È incoraggiante che il discorso politico si sia spostato dall’austerità alla crescita. A luglio la Germania ospiterà un vertice speciale il cui tema principale non sarà più l’austerity, ma la disoccupazione giovanile.

Tuttavia, il tempo continua a scorrere. E la zona Euro è in corsa, in una gara tra economia e politica. Un anno fa il nemico era il mercato obbligazionario, oggi la minaccia per l’Euro viene dalle correnti populiste che tentano di rovesciare l’ordine liberale sul quale si poggia l’integrazione Europea.

Traduzione di Federica Agostini Fonte: Financial Times

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