Home > Altro > Archivio > Eurozona, pensare l’impensabile: abbandonare l’euro? Il momento in cui (…)
Eurozona, pensare l’impensabile: abbandonare l’euro? Il momento in cui l’Europa dirà "basta"
lunedì 20 maggio 2013, di
La disoccupazione in Spagna è al 27%. I giovani sono in fuga dal Portogallo e dall’Irlanda. Un greco su quattro dice di avere difficoltà a pagare per il cibo.
Nonostante le condizioni di quest’era di Depressione, tuttavia, l’Europa non ha un piano concreto per riportare la gente al lavoro. Nel quadro della strategia di progettazione tedesca per sfuggire alla crisi dell’euro, i membri dell’Europa meridionale che lottano devono continuare a tagliare la spesa pubblica, ad abbassare i salari fino a quando non saranno di nuovo competitivi. Al ritmo attuale, ci potrebbe volere un decennio o più per completare il processo, in base agli studi di Goldman Sachs.
Tutta questa sofferenza porta alla domanda: c’è un punto di rottura in cui gli europei diranno semplicemente: "Basta"?
Pazienza infinita?
Certamente, gli europei hanno protestato contro l’austerità. Ma nonostante diffuse paure, nessun paese ha lasciato l’euro. Il supporto per rimanere nella moneta comune rimane alto, anche se vi è un diffuso disincanto nei confronti dell’Unione europea. Oltre il 60% di spagnoli, greci, italiani e francesi vuole mantenere la moneta comune, secondo un sondaggio pubblicato questo mese dal Pew Research Center.
I profeti della sventura dell’euro, che prevedevano che la Grecia avrebbe abbandonato la moneta unica lo scorso anno hanno apparentemente sottovalutato la volontà degli europei a sopportare anni di difficoltà, piuttosto che scommettere su di un’uscita. Ma i funzionari europei che puntano alla stabilità del sentimento pro-euro potrebbero fare l’errore opposto.
Le riserve di pazienza degli Europei sono profonde, ma sicuramente non infinite.
"Solo l’enormità di abbandonare l’euro ha finora militato contro un aumento nel sostegno verso un’uscita dall’euro stesso", dice Simon Tilford, capo economista presso il Center for European Reform di Londra. Non appena le persone si renderanno conto del fatto che non c’è luce alla fine del tunnel, però, "probabilmente inizieremo a vedere un dibattito più aperto circa i costi e i benefici del rimanere nella moneta unica," dice. "E una volta che si accenderà il dibattito, le cose potrebbero cambiare abbastanza rapidamente".
Il caso dell’Argentina
Questo è giù accaduto in passato. Come i paesi che hanno aderito alla zona euro, l’Argentina negli anni ’90 rinunciò al controllo sulla propria moneta, fissando il tasso di cambio della valuta alla parità con il dollaro. Ciò riuscì a domare l’iperinflazione, ma portò anche ad un indebitamento esagerato in dollari che spinse in alto salari e costi aziendali. Come l’Europa meridionale oggi, l’Argentina divenne profondamente non-competitiva e la valuta del paese non riusciva più a rendere i suoi beni attraenti all’estero.
Come i membri dell’euro oggi, l’Argentina ha dovuto sorridere e resistere fino a quando i salari e i prezzi non sono scesi abbastanza perché il paese diventasse di nuovo competitivo. La saggezza popolare a quel tempo era che gli argentini avrebbero sopportato qualsiasi difficoltà pur di continuare ad utilizzare il dollaro statunitense, dopo essere stati così scottati da decenni di caos politico ed economico.
"La svalutazione non è un’opzione in Argentina", disse al momento un economista della Banca Mondiale. "Con un livello così alto di dollarizzazione, una svalutazione sarebbe troppo costosa".
Tecnicamente, l’Argentina aveva una propria moneta a cui poter tornare, ma abbandonare la parità con il dollaro era vista come troppo straziante da intraprendere, perché quasi tutti i debiti e i contratti aziendali erano nella valuta statunitense. Dopo tre anni di recessione, tuttavia, gli argentini decisero in massa che qualunque cosa sarebbe venuta dopo non sarebbe mai potuta essere peggiore della depressione infinita necessaria per mantenere i loro pesos intercambiabili con i dollari.
In una mite serata di dicembre 2001, la classe media si riversò per le strade di Buenos Aires, in un’esplosione di rabbia. Rivolte in tutto il paese spazzarono via il governo dal potere. L’Argentina andò in default subito dopo, e poi il paese abbandonò il "gancio" della sua moneta al dollaro.
Avvertimento per l’Europa
Quanto è simile la situazione del sud Europa oggi? L’economia argentina aveva subito una contrazione di circa l’8% nei tre anni precedenti la rivolta. Entro la fine di questo anno, le economie di Italia e Portogallo si saranno ridotte di circa l’8% rispetto al loro picco, la Spagna di circa il 6% e la Grecia di oltre il 23%, secondo il Fondo Monetario Internazionale.
I responsabili politici dell’UE confortevoli con l’apparente popolarità dell’euro dovrebbero considerare che anche gli argentini sostenevano ampiamente il dollaro fino al momento in cui sono esplosi. In un sondaggio pubblicato nel dicembre 2001, lo stesso mese in cui gli argentini sono insorti, solo il 14% diceva che il regime di moneta doveva essere abbandonato, il 62% invece voleva mantenerlo. Questa è praticamente la stessa percentuale di spagnoli e greci che dicono di voler mantenere l’euro oggi.
L’Argentina, con i suoi alti e bassi dalla svalutazione, non è un modello per l’Europa. Piuttosto, è un avvertimento.
Alla fine del 2001, il ministro dell’economia argentino definì il legame del paese al dollaro "un’istituzione permanente", il cui crollo impensabile avrebbe causato "la dissoluzione delle istituzioni di base dell’economia e della società." Un mese dopo era sparito.
Coloro che dicono che il rischio di uscita dall’euro sia stato eliminato dovrebbero prendere in considerazione altri momenti in cui le persone definivano sacro un regime di moneta, fino a quando non hanno deciso di spazzarlo via.
| Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Wall Street Journal |