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Der Spiegel: l’ascesa della nuova elite euroscettica della Germania. Salvare il salvabile, si può?

venerdì 21 giugno 2013, di Erika Di Dio

Una strana miscela sta fermentando in Germania. Settimana dopo settimana, le voci che chiedono la fine dell’Unione monetaria europea sono sempre più in crescita. Ci sono persone che rappresentano il mondo finanziario, come Müller. Vi è il nuovo partito anti-euro "Alternativa per la Germania" (AfD), che gode del sostegno dei conservatori delusi. E poi ci sono anche sociologi che hanno legami con il Partito Social Democratico di centro-sinistra (SPD), come Wolfgang Streeck, direttore del Max Planck Institute For the Study of Societies di Colonia. Streek vede l’unione monetaria come la "cattività babilonese di un sistema di mercato politicamente emancipato". C’è anche Thilo Bode, fondatore del gruppo europeo dei diritti dei consumatori Foodwatch, che vede la dracma come cura per l’economia greca in difficoltà.

Vi è un crescente malcontento su entrambi i fronti, sinistro e destro, dello spettro politico. Entrambi gli schieramenti stanno attaccando l’euro, ed entrambi mirano a raccogliere il sostegno del centro. Le persone intelligenti, tra cui imprenditori, sindacalisti, docenti universitari e funzionari di partito, stanno iniziando a collaborare. Ci sono anche alcuni teorici della cospirazione, pazzi ed estremisti. Ma la maggior parte sono presentabili e istruiti.

Secondo un nuovo studio condotto a Washington, il 60 per cento dei tedeschi approva l’Unione europea, l’8 per cento in meno rispetto ad un anno fa. Circa due terzi dei tedeschi vuole mantenere l’euro, mentre un terzo rivuole indietro il marco tedesco. Un gruppo di autorevoli economisti tedeschi ha pubblicato dei documenti per l’euro. Nei sondaggi, il partito anti-euro oscilla tra il 2 e il 3 per cento. Negli ultimi due anni, SPIEGEL ha eseguito sette notizie da copertina in guardia contro un euro in grave pericolo, fatiscente o in fallimento. E tuttavia l’euro ha resistito.

Prevedere un collasso inevitabile dell’euro

Un uomo passeggia in un quartiere residenziale a Bad Godesberg nella città di Bonn, l’ex capitale della Germania occidentale. Dice di essere stato presente quando è nato l’euro, insieme all’allora cancelliere Helmut Kohl e all’ex Presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer. Joachim Jahnke era membro della SPD e capo sezione del Ministero dell’Economia. Ora 74 anni e in pensione, invia newsletter settimanali in cui spesso esprime la sua posizione naturalmente contraria all’euro. “Il marco tedesco era una sorta di simbolo della nazione”, dice Jahnke.

Jahnke parla a lungo su come l’euro possa ancora essere salvato – con un salario minimo globale in Germania, per esempio, o con dei trasferimenti verso l’Europa meridionale. Ma dice anche: “I tedeschi finiranno per stufarsi di pagare continuamente per queste cose".

A meno che non succederà qualcosa di grave, l’euro sarà storia tra 3-5 anni, predice Jahnke. Gli oppositori della moneta unica credono che il tempo sia dalla loro parte.

Se la moneta unica non esistesse più, i paesi europei in crisi potrebbe svalutare le loro monete nazionali e rafforzare le loro economie, in quanto i prezzi dei loro prodotti crollerebbero e i loro mercati diventerebbero più competitivi. Questo è un argomento importante per gli avversari dell’euro - ed è anche corretto. Ma se l’euro dovesse scomparire, l’economia di esportazioni della Germania crollerebbe, perché la moneta tedesca si apprezzerebbe notevolmente. La disoccupazione aumenterebbe sensibilmente, e il motore dell’economia verrebbe eliminato. Questo è anche vero, ed è una cosa che gli oppositori dell’euro non vogliono sentire. Ma c’è anche un’altra questione importante: cosa succederebbe in Europa se la stessa fosse privata della moneta unica?

Cosa si può ancora salvare?

Heiner Flassbeck è stato segretario di stato sotto l’ex ministro delle Finanze Oskar Lafontaine, e recentemente ha lavorato come chief economist per una delle organizzazioni delle Nazioni Unite. La Fondazione Rosa Luxemburg lo ha invitato a parlare, presso l’auditorium dove ha sede il quotidiano Neues Deutschland.

"Ho studiato tutte le crisi finanziarie del mondo", dice Flassbeck, e aggiunge che ciò che l’Europa ora può fare è "salvare il salvabile".

Ma cosa resterà della zona euro se i paesi in crisi abbandonano?

"La Germania", risponde Flassbeck. "Hmm, Paesi Bassi, Belgio ..."

La Francia?

"No, la Francia deve uscire".

La Finlandia?

"Sì, la Finlandia."

Germania, Finlandia, Olanda e Belgio. Ma esiste ancora una visione politica?

"Oh," dice Flassbeck, "la visione politica è morta, in ogni caso."

La risposta ripetuta più volte dal Cancelliere Merkel per la crisi dell’euro è stata: "Se l’euro muore, muore anche l’Europa". Si tratta sicuramente di una frase importante, ma le manca ancora una spiegazione razionale. Senza di essa, l’osservazione sembra come una pretesa vuota, eppure la questione merita di più.

Nelle ultime settimane si è parlato molto di debito, acquisti di titoli e fondi di salvataggio. Ma sarebbe più convincente se la questione economica non fosse scollegata dalla dimensione sociale. L’appello dell’Unione europea e dei suoi precursori è sempre stato quello di tendere ad obiettivi immediati al fine di raggiungere quelli più lontani. Il mercato comune è stato inteso come un primo grande passo sulla strada dei successi politici. L’esperimento è iniziato con un’organizzazione transnazionale che ha creato un mercato comune del carbone e dell’acciaio, mentre la moneta comune è arrivata quasi 50 anni dopo. L’idea era che l’Europa avrebbe iniziato dal portafoglio, ma non sarebbe finita qui, che sarebbe partita in piccolo e poi sarebbe cresciuta. L’idea era anche quella di superare le crisi, tollerare le richieste irragionevoli e seguire fino alla fine.

Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Spiegel

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