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DEF, allegato infrastrutture: ecco cosa aspettarsi davvero
mercoledì 19 aprile 2017, di
Un allegato con titolo modificato ad effetto marketing: “Connettere l’Italia”, ovvero un territorio che, utilizzando la metodologia della Banca d’Italia come l’“accessibilità” e i “tempi di percorrenza”, non presenta carenze strutturali. Carente è invece la qualità dei servizi regionali e metropolitani e il trasporto merci, quest’ultimo prodotto dell’assenza di un Piano della Logistica.
Ancora, si legge nell’Allegato infrastrutture del DEF il mantra del completamento della rete europea dei trasporti entro il 2030, censurando il fatto che costa quasi 1.000 mld di euro. Un DEF che taglia di 15 mld il disavanzo 2018 incidendo nella spesa per investimenti in conto capitale per un meno 12% della spesa pubblica nel triennio. Un Allegato che rifulge unicamente per la narrazione.
Speranze e apprezzamenti sono stati prodotti dalla lettura del DEF nella parte riguardante la revisione attraverso l’analisi costi-benefici di ben 23 costosissime grandi opere. Opere partorite, è inutile girarci intorno, nel famigerato ufficio di missione il cui capo era da decenni il vero soggetto decisionale per le opere pubbliche, tanto potente da partecipare alle riunioni del Cipe pure a contratto di consulenza scaduto. Lo stesso contratto che è stato sottoscritto dopo che la politica aveva confezionato per lui un bando ad personam e averlo fatto diventare il capo della struttura tecnica di missione per 10 anni. Indagini e arresti determinarono la fuoriuscita di questo soggetto dall’ufficio di missione e del ministro che lo aveva nominato.
Un’opportunità immediatamente colta dal Pd per sflilare al suo alleato il ministero delle infrastrutture e opere pubbliche del valore di 92 mld di euro. In una intercettazione del 16 dicembre 2014 l’allora ministro Lupi affermava:
“Se viene abolita la struttura tecnica di missione viene giù il Governo!”
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, rappresentati dei vincoli comunitari di bilancio e dalla crisi fiscale dello Stato. Queste cause e la sbandierata trasparenza ha indotto anche a considerare l’evolvere di alcuni parametri di finanza pubblica per giungere alla considerazione che poi tutto sommato quelle revisioni di progetto diventavano un vero obbligo. Attenzione però, perché senza onta del ridicolo di alcuni progetti sono analizzati singoli pezzi cadendo nel ridicolo e smentendo, di fatto, l’applicazione dell’analisi costi benefici di cui tanto si sventola nell’introduzione all’Allegato al DEF.
Un’ACB su un pezzo di progetto o su un singolo attraversamento di città è semplicemente demente e ridicolo!
Tre i dati del DEF che inducono alla revisione di alcuni progetti:
a) la spesa totale per investimenti resta costante addirittura alla fine dei tre anni considerati dal DEF minore dello 0,4% e quindi inferiore del 12% dell’ammontare totale;
b) i famosi 47 mld nei prossimi 15 anni per gli investimenti in infrastrutture. Questo “superfondo” previsto dalla legge finanziaria dello scorso anno (comma 140 LF 2016) è nel bilancio di previsione del Ministero dell’economia.
Questa la virtuale distribuzione : 1,9 mld quest’anno, 3,15 il prossimo anno, 3,5 nel 2019 e 3 mld ogni anno dal 2019 al 2032. Totale 47,55 mld di euro da spendere per trasporti, rete idrica, fognature, depurazione, bonifiche, dissesto idrogeologico, edilizia pubblica, attività industriale, sostegno esportazioni, rischio sismico, riqualificazione urbana, sicurezza periferie città metropolitane, capoluoghi di comune, eliminazione barriere architettoniche. Insomma tutto il possibile e immaginabile.
Ma i soldi ci sono? No! Questi interventi devono essere finanziati e spesso per tappare i buchi inevitabili di bilancio causa obblighi comunitari, errate previsioni crescita economica si spostano a tapparli;
c) DEF opera altri tagli “socialmente pesanti”, ovvero 2,1 punti percentuali di PIL di spesa corrente primaria, cioè senza contare gli interessi pagati sul debito. Ancor più doverosa diventa la scelta di revisione dei progetti se solo si pensa alle dichiarazioni governative, tra cui: “liberare le risorse del Paese dal peso eccessivo dell’imposizione fiscale”. Una semplice deduzione dai numeri indicati nel DEF porta a porsi la domanda : “al MIT si vive una realtà virtuale o peggio si è specializzati in marketing mediatico?”.
Un disavanzo che sarà ridotto di 15 mld nella prossima legge di bilancio e che, come comunicato da Padoan, non si farà sulle entrate e che tolti i soliti ottimistici recuperi del fisco per un massimo di 2 mld ne restano 13 per i tagli di spesa che in un anno elettorale (lo capiscono pure i bambini) non interessano i cittadini, ma inevitabilmente gli investimenti soprattutto in grandi, supercostose, infrastrutture.
Incredibile, poi, considerata la mutata situazione geopolitica, il revival dei dazi sulle merci, le rivoluzioni in atto d’industria 4.0, delle nanotecnologie, delle stampanti 3.0 e infine di “internet delle cose” leggere quanto scritto in quello che è sempre stato chiamato “Allegato Infrastrutture al DEF”, oggi diventato molto pomposamente “Connettere l’Italia: fabbisogni e progetti d’infrastrutture” - un aumento dei traffici intercontinentali merci quale effetto della globalizzazione e con orizzonte 2030. Non mancano infine gli eterni, consunti, banali richiami alla rete UE dei trasporti da completare entro il 2030 omettendo di considerare che ci vogliono 950 mld di euro per completarla e che incombono in UE dove le 21 maggiori banche hanno 6400 mld di asset senza mercato e dove incombe il Fiscal Compact.
È serietà istituzionale produrre quest’allegato al Def?