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Crisi: cresce il sommerso. In Europa è boom di lavoro nero

martedì 4 giugno 2013, di Nadia Fusar Poli

I regimi fiscali punitivi, la maggiore regolamentazione del mercato del lavoro e la crescente mancanza di fiducia nei governi, stanno alimentando il fenomeno del sommerso. Secondo uno studio paneuropeo pubblicato Martedì, il valore stimato è di miliardi di dollari. L’aumento drammatico del cosiddetto settore "informale" - e, per definizione, non dichiarato e non tassato – registrato dal 2008 nelle economie mature, sarebbe riconducibile alla crisi finanziaria mondiale. Sebbene l’ambito di espansione e la reale portata del fenomeno siano difficili da quantificare, si ritiene che il valore complessivo dell’economia sommersa potrebbe essere di 10 miliardi di dollari l’anno.

La ricerca commissionata dall’ Institute of Economic Affairs (IEA), ha rivelato che l’economia sommersa in Europa occupa fino a 30 milioni di persone in tutta l’Unione europea e rappresenta sino al 20 per cento del reddito nazionale in paesi come Spagna, Italia e Grecia. Secondo l’AIE, l’economia sommersa costituisce circa il 10 per cento del prodotto interno lordo (PIL) del Regno Unito - per un valore superiore a 150 miliardi di sterline (230 miliardi di dollari), secondo il rapporto della IEA -, rappresenta circa il 14 per cento nei paesi nordici ed una percentuale compresa tra il 20 e il 30 per cento in molti paesi dell’Europa meridionale.

Lo studio effettuato da Friedrich Schneider, professore di economia presso l’Università Johannes Kepler in Austria e Colin Williams, professore di politiche pubbliche presso l’Università di Sheffield, ha messo in luce la tendenza degli ultimi anni, delineando un fenomeno in netta espansione. L’aumento della spesa pubblica e la crescente tassazione, hanno innescato un circolo pericoloso e vizioso, spingendo individui ed imprese nel mercato del lavoro illegale.

Tuttavia, piuttosto che cercare di scoraggiare l’economia sommersa, Schneider e Williams suggeriscono che “una riduzione del carico fiscale è quindi suscettibile di portare a una riduzione delle dimensioni dell’economia sommersa”, che può variare da attività apparentemente innocue, come servizi di babyisitting, a mercati illegali (ad esempio di bevande e sigarette) su larga scala.

Anche in paesi apparentemente virtuosi, come la Svizzera, il lavoro sommerso è un fenomeno noto e radicato. Qui rappresenta circa l’8 per cento del reddito nazionale, nonostante la Svizzera sia ampiamente vista e percepita come un paese dotato di una buona regolamentazione del mercato del lavoro, e le cui istituzioni pubbliche godono della massima fiducia.

Data la natura opaca delle economie sommerse è notoriamente difficile fornire una stima puntuale e precisa. Eppure i paesi che hanno tentato di stilare dei dati, al fine di delineare i contorni del fenomeno, sono giunti a risultati sorprendenti. La Danimarca, per esempio, ha recentemente pubblicato uno studio che suggerisce che circa la metà della popolazione lavora nel sommerso. Le implicazioni a più lungo termine sono chiaramente enormi. Ad esempio, vi è la questione di come i governi possano finanziare servizi critici ed essenziali o fare investimenti nelle infrastrutture, se una quota crescente di attività non è tassata. Forse è il momento che si inizi ad includere una valutazione dell’incidenza della economia sommersa nelle statistiche economiche nazionali, con l’obiettivo di restituire un quadro più definito e realistico di un fenomeno che ha dimostrato una notevole capacità di resistenza alla crisi. Al contrario, le attività “in nero”, svolte cioè al di fuori delle regole, in materia di tasse e contributi, sono cresciute in maniera esponenziale proprio durante il periodo della crisi...e le stime, così come le rilevazioni, sono ufficiose.

fonte: cnbc.com

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