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Alitalia, ecco come la politica ha affossato l’azienda. Quanto ci è costata finora?
mercoledì 26 aprile 2017, di
Alitalia: ecco come la politica ha affossato la compagnia aerea che una volta era il fiore all’occhiello del paese, mentre ora in crisi perde 1 milione di euro al giorno e negli anni è costata una fortuna alle casse statali.
Regna sempre di più l’incertezza intorno al futuro di Alitalia. Dopo la bocciatura da parte dei lavoratori al Referendum promosso dall’azienda su un nuovo accordo sindacale, non ci sarà nessun piano di ricapitalizzazione e la fine della compagnia aerea è ormai imminente.
Dopo la vittoria per certi versi anche inaspettata del No, si muove anche la politica italiana che sta cercando di garantire una sopravvivenza all’Alitalia oltre che salvare circa 20.000 posti di lavoro tra dipendenti e indotto.
Una situazione che fa emergere ancora una volta come la crisi Alitalia sia figlia di sciagurate operazioni messe in atto dalla classe politica, che negli ultimi anni sono costate caro alle casse dello Stato.
Caos Alitalia: le colpe della politica
Il Referendum proposto dai vertici dell’Alitalia è soltanto uno degli ultimi autogol messi in atto dall’azienda. Con 6.861 No pari al 67% dei voti, i lavoratori della compagnia aerea hanno bocciato il nuovo accordo sindacale.
Nonostante un sostanziale taglio agli esuberi e alla diminuzione degli stipendi, i lavoratori hanno bocciato la proposta dell’azienda stoppando così di fatto la messa in opera del nuovo piano industriale, che era stato subordinato dai soci al buon esito del Referendum.
A questo punto si moltiplicano le ipotesi su quale possa essere il futuro di Alitalia. Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha parlato di un prestito ponte di quasi 400 milioni per garantire altri sei mesi di vita.
In questo lasso di tempo, dopo che il premier Gentiloni ha escluso ogni possibile ipotesi di nazionalizzazione, Alitalia dovrà cercare acquirenti con il socio di minoranza Etihad che sarebbe pronto a vendere ai tedeschi della Lufthansa.
Una nuova crisi e una prospettiva quasi inevitabile di cessione che fanno affiorare tutte le lacune nella gestione dell’azienda negli ultimi anni. Da quando nel 1974 la compagnia aerea è entrata di fatto sotto il controllo statale, da fiore all’occhiello mondiale Alitalia si è trasformata in un esoso carrozzone.
Dopo esser stata per anni all’avanguardia, negli anni ‘90 è iniziato un periodo di declino per un’Alitalia bisognosa di una struttura manageriale ben diversa per restare al passo con i tempi sempre più mutevoli.
Quando nel 2007 si arrivò al punto di non ritorno, con perdite stimate in più di 3 miliardi di euro, la cessione dell’azienda sembrava essere inevitabile. L’allora premier Romano Prodi aveva praticamente chiuso l’accordo con Air France, ma alla fine tutto naufragò visto la vittoria elettorale del centrodestra.
Silvio Berlusconi nel 2008 spalancò la porta invece ai famigerati “capitani coraggiosi” della Cai, che acquisirono la parte sana dell’azienda lasciando i debiti alla mercè delle casse statali.
Entrarono a far parte dell’Alitalia importante famiglie come Benetton, Riva, Marcegaglia, Caltagirone e Ligresti. Presidente fu nominato Roberto Colaninno. Nonostante il fior fiore di nomi, la compagnia continuò a far registrare perdite record.
Nel 2014 invece fu l’allora premier Matteo Renzi a dare il proprio assenso alla cessione, dopo che molti dei “capitani coraggiosi” era fuggiti spaventati dai conti in rosso, del 49% dell’azienda a Etihad, la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti.
Nuovo corso per l’Alitalia con a capo Luca Cordero di Montezemolo ma soliti risultati disastrosi. La scelta di continuare a puntare soprattutto su viaggi intercontinentali e lussuosi fu un suicidio commerciale che lasciò campo libero alle compagnie low cost.
La situazione attuale è quindi figlia di questa miopia di vedute, con l’Alitalia che ora si spera venga ceduta con dieci anni di ritardo, mentre sale il conto che gli italiani hanno finora pagato per mandare avanti l’azienda.
Quanto ci è costata finora Alitalia?
In maniera ufficiale, lo Stato non ha più quote partecipative di Alitalia dal 2008, l’anno in cui l’azienda fu ceduta alla Cai, mentre dal 1974 l’azienda era stata controllata prima dall’Iri e poi dal ministero del Tesoro.
Dopo che per decenni Alitalia era stata annoverata tra le dieci migliori compagnie aeree al mondo, c’è stato un lento e inesorabile declino. Al momento della cessione del 2008, è stato calcolato che l’azienda è costata alle casse statali circa 3,3 miliardi di euro.
Peggio è andato comunque negli anni della gestione di Cai, ovvero dal 2008 al 2014. Prima dell’arrivo del socio di minoranza Etihad, tra il prestito ponte di 300 milioni, i 2 miliardi di debiti accollati, le spese per la cassa integrazione e la partecipazione come azionista delle Poste, lo Stato ha sborsato altri 4,1 miliardi di soldi pubblici.
La somma quindi è presto fatta: Alitalia al momento è costata agli italiani circa 7,4 miliardi, cifra che potrebbe salire a 7,8 miliardi con l’ultimo prestito ponte previsto. Un conto molto salato soprattutto se pensiamo al momento difficile del paese.
Errori politici ed errori manageriali si sono susseguiti a ripetizione negli ultimi anni. Ora tutti invocano la vendita quando solo pochi anni fa l’italianità di Alitalia era un dogma da preservare ad ogni costo.
In questo senso il declino e la quasi scomparsa dell’Alitalia può essere presa ad esempio della situazione che sta vivendo il nostro paese: una nazione dalla grande potenzialità, zavorrata però da errori politici e dirigenziali.