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Scissione Pd: che futuro per il governo Gentiloni?

mercoledì 22 febbraio 2017, di Alessandro Cipolla

Con la scissione in atto nel Pd quale sarà il futuro per il governo Gentiloni? Vista la separazione in seno al partito, ormai è tempo di numeri, calcoli e previsioni politiche che non sembrerebbero essere del tutto favorevoli alla tenuta dell’esecutivo.

Anche se Michele Emiliano ci ha ripensato e rimarrà nel Pd sfidando Matteo Renzi alle primarie del partito, gli scissionisti vanno avanti e a breve saranno annunciati i nuovi gruppi parlamentari e il nome del neonato movimento politico.

In totale dovrebbero essere circa 20 i deputati e 15 i senatori a fuoriuscire dal Pd, con Bersani che comunque giura fedeltà al governo Gentiloni anche perché, la tenuta dell’esecutivo fino al 2018, è stato proprio uno dei punti di rottura con Renzi.

La situazione però è più complessa di quello che si può pensare: ci sono i rapporti da ricucire con Sinistra Italiana ed eventiali leggi non proprio gradite a cui mettere la fiducia. Il governo Gentiloni quindi è tutt’altro che al sicuro.

Scissione Pd: domani i gruppi parlamentari

Nonostante la marcia indietro di Michele Emiliano, un probabile suicidio politico questo soprattutto se anche Andrea Orlando decidesse di partecipare alle primarie del Pd, ormai la minoranza è pronta a mettere in atto la scissione.

Domani dovrebbero nascere i due nuovi gruppi parlamentari, con almeno 20 deputati e 15 senatori pronti a fare le valigie da casa Pd. Altri però se ne potrebbero aggiungere in extremis anche da altre forze politiche, soprattutto dall’area di Sel.

Uno dei punti cardine delle richieste di Bersani a Renzi per evitare la scissione era che il governo Gentiloni arrivasse a fine mandato, che scade praticamente tra un anno. Quindi è impensabile che ora gli scissionisti facciano mancare il loro sostegno all’esecutivo.

Anche se ciò accadesse, alla Camera la maggioranza rimarrebbe comunque stabile, mentre al Senato potrebbe esserci più di un problema: in quel caso potrebbero clamorosamente tornare ad essere indispensabili i senatori di Verdini.

Paradossalmente per chi finora si è battuto con tutte le forze per la tenuta del governo, ora invece continuare a sostenere Gentiloni potrebbe diventare il più grande dei problemi della neonata forza politica.

L’alleanza con Sinistra Italiana

Appena la scissione a breve diventerà realtà, saranno subito diversi i banchi di prova cui i bersaniani si dovranno sottoporre. Il primo nodo da affrontare è quello strategico anche in vista delle future elezioni.

Appena eletto segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni ha subito posto le sue condizioni per una possibile alleanza: ok ad unire le nostre forze per ridare slancio alla sinistra, a patto però che non si voti la fiducia al governo Gentiloni.

Difficile però immaginare che gli scissionisti si pongano in contrasto con un governo per il quale si sono battuti fino allo strappo per salvaguardarlo. Probabile quindi che il matrimonio con Sinistra Italiana non avvenga subito, ma non per questo non si farà.

Rumors dicono che Renzi stia preparando uno scherzetto ai bersaniani: nella nuova legge elettorale portare la soglia di sbarramento al 5%, anche se questo vorrebbe dire mettersi contro Ncd ora più che mai fondamentale per Gentiloni.

Gli ultimi sondaggi politici danno gli scissionisti assieme a Sinistra Italiana circa al 6,5%, quindi ampiamente anche sopra questa soglia di sbarramento. Da soli però difficilmente potrebbero riuscire ad entrare in Parlamento, soprattutto il partito il di Fratoianni.

Ecco quindi che in questo caso il problema potrebbe essere di facile soluzione: l’unione delle forze rimandata solo di qualche mese, quando si saprà con certezza quando si voterà e soprattutto con quale legge elettorale.

I rischi per il governo Gentiloni

Ben più spinoso però per gli scissionisti sarà la questione dell’essere sempre fedeli a Gentiloni. In fin dei conti, questo esecutivo è perfettamente in linea con quello precedente, dove al comando c’era Matteo Renzi.

Criticare le scelte di Renzi vuol dire criticare anche le scelte del governo, del quale il Pd è il partito di assoluta maggioranza. In questo caso una mano potrebbe darla però Matteo Orfini, l’attuale reggente del Partito Democratico.

Orfini vuole nel breve porre la fiducia per lo ius soli, rivedere le norme riguardanti i voucher, mettere un freno alle privatizzazioni e istituire una commissione per le banche. Tutti provvedimenti tesi a far capire all’elettorato storico che il Pd rimane comunque una forza di sinistra.

Per gli scissionisti quindi non dovrebbe essere un problema porre anche la fiducia per provvedimenti del genere. Il problema arriverà quando gli argomenti saranno di ben altro taglio. Basterebbe una votazione su un tema controverso per mandare in crisi i bersaniani.

Matteo Renzi qui potrebbe veder realizzato un piano quasi machiavellico. L’ex premier vuole vincere le primarie, per andare poi subito dopo al voto anche a settembre. Per farlo però deve mandare a casa un governo come quello Gentiloni guidato dal suo partito.

Se dovesse arrivare al Senato un provvedimento blindato dal voto di fiducia dove gli scissionisti sono fortemente contrari, come si comporterebbero i bersaniani? Ingoiano il rospo o mettono in crisi il governo?

Se Gentiloni dovesse cadere per mano degli scissionisti, allora Renzi si andrebbe a presentare alle prossime elezioni senza avere il governo sulla coscienza. Fatta la separazione dunque, per i bersaniani la strada non sembrerebbe essere quindi in discesa.

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