Numeri a rischio per Renzi, cosa può succedere nella direzione PD del 3 maggio?

In casa Partito Democratico è arrivato il momento della resa dei conti. Giovedì 3 maggio si terrà infatti la tanto attesa direzione nazionale, appuntamento dove si dovrà decidere la linea politica da tenere in questa fase delle trattative per formare un governo.

In particolare sarà una sorta di referendum interno su Matteo Renzi: l’ex premier, sempre tentato dal fare un partito tutto suo, dovrebbe avere i numeri per spuntarla ma potrebbero esserci anche delle sorprese.

Il Partito Democratico al bivio

Senza dubbio l’apparizione televisiva di Matteo Renzi nel salotto di Fabio Fazio ha spento ogni fiammella di speranza per chi ambiva, dopo l’apertura di Luigi Di Maio, a fare un accordo di governo con il Movimento 5 Stelle.

Non per questo la direzione nazionale del Partito Democratico in programma giovedì 3 maggio è stata svuotata da ogni significato: sarà il momento in cui l’ex segretario dovrà confermare la sua leadership nonostante le dimissioni rassegnate dopo il voto delle politiche.

In teoria Renzi dovrebbe avere ancora dalla sua la maggior parte dei delegati. Dopo lo smarcamento di Dario Franceschini però, i numeri per l’ex premier potrebbero essere al momento più risicati.

Alla direzione nazionale parteciperanno in 214. Una stima iniziale parlava di 128 renziani compresi i 20 millennials nominati nel febbraio del 2017, una larga maggioranza quindi. Una più recente conta però darebbe al senatore toscano una ventina di fedelissimi in meno.

Un particolare questo che renderebbe il tutto molto più incerto, visto che se questa seconda ipotesi fosse veritiera a quel punto i numeri di Matteo Renzi in direzione diventerebbero molto più traballanti di quanto si possa immaginare.

Quali scenari?

Dopo il mandato esplorativo affidato a Roberto Fico per sondare le possibilità di un governo Movimento 5 Stelle-Partito Democratico, la direzione del 3 maggio sarebbe dovuta essere incentrata proprio sull’accettare o meno l’inizio di questo tavolo di trattative.

Dopo la chiusura di Renzi, l’ordine del giorno da votare potrebbe essere diverso. Molto dipenderà dal tenore degli interventi da parte degli esponenti della parte maggioritaria del partito e di quella minoritaria.

Da una parte ci sono i renziani irriducibili, ostile a ogni sorta di dialogo con i 5 Stelle e disposti solo ad accettare un governo istituzionale per le riforme. Dall’altro lato c’è il reggente Maurizio Martina, disponibile invece a intavolare una trattativa con i pentastellati.

Assieme al ministro dell’Agricoltura ci sono molti altri compagni di governo, da Dario Franceschini fino ad Andrea Orlando, per arrivare poi anche all’area che fa riferimento al governatore pugliese Michele Emiliano.

Non si è espresso finora il premier in carica per gli affari correnti Paolo Gentiloni, che però sarebbe molto irritato dalle parole dette da Renzi a Che tempo che fa dove il suo governo è stato bollato come responsabile del recente “immobilismo” del paese nell’ultimo anno.

Andare alla conta senza avere numeri certi potrebbe però essere un rischio per Martina: nel caso di un respingimento del suo ordine del giorno, non potrebbe far altro che rassegnare le dimissioni con Renzi che porterebbe a casa una vittoria personale.

Se quindi il sentore sarà che l’ex segretario abbia ancora i numeri per dettare legge all’interno del Partito Democratico, il reggente potrebbe optare per un ordine del giorno molto più soft e condiviso così da non rischiare il posto.

A prescindere, dalla direzione del 3 maggio uscirà fuori comunque il destino del PD: sarà il momento in cui si vedrà se il partito è ancora fedele a Matteo Renzi o meno. In caso di ribaltone, nessuna ipotesi a quel punto potrebbe essere esclusa.