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Start-up: è fuga dall’Italia

giovedì 26 settembre 2013, di Alessandro Genovesi

La fuga di cervelli, si sa, è un annoso problema che da anni affligge l’economia italiana.

Ma, se fino a poco tempo fa, i neolaureati emigravano per trovare un lavoro, ora la tendenza sta lentamente cambiando: gli italiani scappano all’estero e vanno a crearlo, il lavoro.

Fuga delle Start Up: le cause

I motivi di questa “delocalizzazione di idee” sono molteplici: burocrazia più snella, sgravi fiscali più alti, facilità nell’ottenere finanziamenti.

Ma, soprattutto, è una diversa impostazione culturale che fa la differenza: nel nordeuropa (Germania, Inghilterra e penisola scandinava le mete preferite dai nostri startupper) c’è una cultura di impresa più preparata ad accogliere aziende attive in ambito digitale e ad alto potenziale di crescita. Londra e Berlino le città preferite dagli startuppers italiani.

Facilità nell’avviare una Start Up

Nella capitale britannica, ad esempio, è sbarcata una giovane ingegnere gestionale di 26 anni per fondare, assieme alla madre e alla sorella, un sito online di servizi alle imprese che partecipano a fiere.

“Abbiamo scelto questa città – racconta la giovane imprenditrice – perché la tassazione sulle imprese è bassa e l’ambiente è un concentrato di innovazione: East London, l’area in cui ha sede l’incubatore che ci ospita, Google Campus, è pieno di imprenditori da tutto il mondo e di eventi in cui far nascere idee e collaborazioni”.

Creare l’azienda è stato semplice. “A noi, con il metodo tradizionale, sono bastate due settimane”, continua la ragazza. “Ma si può fare anche tutto online: il costo va da 17 a 200 sterline. E non c’è nessun notaio da pagare”. Differenza sostanziali, rispetto al nostro paese.

Altri giovani connazionali hanno deciso di andare verso il nordeuropea. Due ingegneri informatici, ad esempio, si sono trasferiti nel 2010 a Dublino (nel pieno della crisi irlandese) per fondare e sviluppare MySmark, una piattaforma che consente agli utenti di fare commenti emozionali interattivi ai contenuti di un sito o a un evento.
Il progetto, utile per il marketing online, è diventato la startup B-Smark, che ha ricevuto già nel 2011 il primo finanziamento.

“Non sono i benefici fiscali ad averci portato qui “, spiegano. “Abbiamo scommesso sull’Irlanda perché è all’avanguardia nell’ambito del web semantico: gli investitori non faticano a capire ciò di cui parli. In Italia il supporto all’imprenditoria innovativa è ancora limitato: basti pensare che a Bassano del Grappa (paese da dove proviene uno dei due, ndr), è difficile persino trovare professionisti in grado di orientarti alla creazione di una srl semplificata”.

Anche la manifattura scappa

L’esodo coinvolge anche le piattaforme informatiche destinate alla creazione e alla vendita di capi manifatturieri. È il caso, ad esempio, dell’interessantissimo Alive shoes, sito in cui gli utenti possono crearsi, in totale libertà, le proprie scarpe ideale e poi comprarle o venderle ad altri utenti. I fondatori di Aliveshoes.com, entrambi delle Marche, hanno scelto l’Olanda per lanciarsi in quest’avventura.

Questo il racconto: “In Olanda abbiamo ottenuto finanziamenti in poco tempo, sgravi fiscali e continue dimostrazioni di interesse. Nel nostro paese invece c’è un contesto che ancora non capisce il web: io ho provato parecchi progetti di innovazione digitale, soprattutto nel settore delle scarpe, ma non c’è stato niente da fare. Adesso stiamo pensando di spostare una parte del team a Berlino o di aprire un’altra società. Di Italia, però, non si parla nemmeno”.

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