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Start-up: da monadi a settore trainante. Intervista a Enrico Martini

venerdì 6 settembre 2013, di Dimitri Stagnitto

Il mondo delle startup sta ottenendo finalmente anche in Italia un buon livello di attenzione da parte dei media e delle istituzioni: in particolare il decreto legge dello scorso ottobre "Crescita 2.0" ha messo in campo strumenti importanti per le nuove imprese innovative.

A tal proposito abbiamo intervistato Enrico Martini, statistico, economista e membro della Segreteria tecnica del Ministro dello sviluppo economico.

 Da un po’ di tempo in Italia la parola start up va molto di moda. Concretamente chi sono gli italiani che avviano start-up oggi e in quali settori operano?
Molto spesso il mondo delle startup raccontato sui media è ben diverso da quello vissuto. I giornalisti non parlano delle nuove imprese innovative italiane fino a che queste non salgono agli onori della cronaca; non interessa raccontare della fatica silenziosa dei tanti che fanno impresa con risorse scarsissime, sudando lacrime e sangue. Queste persone trovano il loro habitat naturale sul web, il luogo virtuale dove ci si può accorgere della straordinaria vitalità dell’ecosistema. E’ un fenomeno importante, in grande crescita, che coinvolge un numero di imprese non facilmente quantificabile.

La normativa sulle startup introdotta dal Governo Monti con il Decreto “Crescita 2.0”, che ha contribuito a far salire agli onori della cronaca le startup, prova a dare un volto a queste imprese, permettendo di stimare il numero delle startup innovative italiane.

La definizione di “startup innovativa” che il Decreto ha introdotto non riguarda un solo settore ma fa riferimento potenzialmente a tutto il mondo produttivo, dal digitale all’artigianato, dall’agricoltura all’industria culturale, solo per fare qualche esempio.

Settimanalmente sul sito curato da Infocamere (startup.registroimprese.it) viene aggiornato l’elenco delle startup innovative che si iscrivono alle Camere di Commercio.

Al 2 settembre sono 1.093 le imprese già iscritte, il 31% delle quali sono geograficamente localizzate nel Nord-ovest, il 30% nel Nord-est, il 23% nel Centro, chiude il Mezzogiorno con un mesto 16%. A livello regionale in testa c’è la Lombardia con le sue 208 imprese, seguono a distanza l’Emilia-Romagna, il Veneto, il Piemonte e il Lazio. Milano, Roma e Torino sono le province dove il fenomeno è più rilevante.

A livello settoriale quasi l’80% delle startup opera nei servizi, il 18% nell’industria/artigianato, il 3% nel commercio. Ci sono anche alcune unità impegnate nell’agricoltura e nel turismo. Indiscutibilmente le attività connesse con il mondo del digitale la fanno da padrone, sia fra i servizi che nella trasformazione industriale.

 Il DL Crescita 2.0 rappresenta un primo passo, una sorta di "riconoscimento" di un settore che lo Stato deve conoscere e promuovere. Dall’emanazione del DL ad oggi si sta sviluppando un sistema di start up italiane, pronte magari a portare avanti le proprie istanze attraverso un soggetto rappresentativo unico?
L’obiettivo del legislatore non è individuare un unico interlocutore: l’ecosistema delle startup comprende numerosi attori, molto spesso non organizzati. Non è possibile avere come riferimento un’associazione o una rete di imprese. Il fenomeno è magmatico, in continuo cambiamento. Il bello è che potenzialmente ogni giorno si possono affacciare nuovi protagonisti in grado di mutare il quadro. E non ci sono soltanto gli startupper, vanno presi in considerazione anche gli investitori, i mentor e chiunque dia il proprio contributo alla crescita dell’ecosistema.

Per questo motivo, le norme sulle startup sono ispirate al Rapporto “Restart, Italia!” elaborato da una Task Force eterogenea composta da esperti provenienti dal mondo dell’impresa, del venture capital, dell’accademia, del giornalismo e della Pubblica Amministrazione.

Il Ministero dello sviluppo economico conserva contatti diretti con tutti i principali protagonisti dell’ecosistema dell’innovazione: si tratta di rapporti quotidiani che portano le loro istanze ai massimi livelli dell’amministrazione pubblica. Infatti, con il passaggio di Governo, il nuovo Ministro Flavio Zanonato ha anch’egli messo le startup tra le tematiche in cima alla propria agenda di Governo, nella consapevolezza che negli anni a venire larga parte della nuova ricchezza e della nuova occupazione in Italia dipenderà dalla capacità di avviare nuove imprese innovative.

 Tra gli strumenti innovativi messi a disposizione delle start-up ci sono il crowdfunding e la possibilità di pagare compensi in stock-option: queste pratiche stanno avendo un riscontro concreto? Ci sono già start-up che stanno operando con successo avvalendosi di questi strumenti?

Con la pubblicazione a luglio da parte della Consob del testo definitivo del “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di startup innovative tramite portali on-line” l’Italia è l’unico paese nella UE con una normativa sull’equity crowdfunding, seppur limitata alle sole startup innovative. La Consob, nell’ambito del perimetro del mandato del legislatore, ha introdotto l’obbligo di registrazione per i gestori “puri" di portali, mentre i gestori autorizzati come banche e SIM possono gestire portali online senza obbligo di registrazione, ma hanno però l’obbligo di comunicazione alla Consob e verranno inclusi in una sezione dedicata del registro, ai fini della trasparenza. La Consob ha posto una soglia sotto la quale non viene applicata la parte II del Testo unico della finanza (disciplina degli intermediari e quindi Mifid). La soglia di esenzione per gli ordini delle persone fisiche è di 500 euro e di mille euro considerando gli ordini di tutto l’anno. Poi ci sono le persone giuridiche; in questo caso gli investitori hanno una soglia di esenzione più alta: 5 mila euro per ogni ordine e 10 mila euro per gli ordini complessivi effettuati nell’anno. Ai fini del perfezionamento delle offerte, una quota almeno pari al 5% degli strumenti offerti deve essere sottoscritta da investitori professionali o da fondazioni bancarie o da incubatori. Ad oggi 7 potenziali gestori hanno manifestato informalmente l’intenzione di creare un portale di crowdfunding dedicato alle startup, ma, ad oggi, a causa dei tempi tecnici molto ristretti, nessuno è operativo.

Sempre grazie alla nuova normativa, al fine di favorire la fidelizzazione e l’incentivazione del management, la startup e l’incubatore certificato possono remunerare i propri collaboratori con stock option, e i fornitori di servizi esterni – come ad esempio gli avvocati e i commercialisti – attraverso il work for equity, estendendo alle Srl una facoltà già prevista in favore delle Spa. Il regime fiscale e contributivo che si applica a questi strumenti è vantaggioso e concepito su misura rispetto alle esigenze tipiche di una startup. In particolare, è prevista la piena defiscalizzazione, fiscale e contributiva, degli emolumenti riconosciuti sotto queste forme agli amministratori, ai dipendenti, ai collaboratori e ai fornitori di servizi. Relativamente a questi strumenti non si possiedono attualmente informazioni statistiche in grado di chiarire il loro effettivo utilizzo.

 Commercialisti e consulenti del lavoro sono figure fondamentali per chi avvia un’impresa. Qual è ad oggi la risposta di queste categorie professionali verso il mondo delle start-up? Ci sono commercialisti che si stanno specializzando nel seguire questo specifico tipo di impresa?

Il ruolo dei commercialisti e dei consulenti aziendali è imprescindibile per lo sviluppo delle startup, per guidarle alla scoperta di una normativa che a un neo-imprenditore può apparire complessa, e magari suggerire i modi migliori per crescere e svilupparsi.

Da tempo numerosi studi si propongono come facilitatori di imprese, fornendo un ventaglio di servizi a 360°. Ascoltano l’idea imprenditoriale, la supportano dalla fase di avvio fino alla sua completa maturazione. Questi studi conoscono alla perfezione tutte le opportunità che il nuovo pacchetto legislativo mette a disposizione delle startup innovative.

Purtroppo però ancora un’ampia fetta di professionisti non ha grossa dimestichezza con il mondo delle startup e molti aspetti che vi ruotano intorno: inquadramento normativo, comunicazioni obbligatorie e diversi aspetti amministrativi e fiscali. Da esperienza personale capita spesso di incontrare clienti o potenziali tali che non riescono a trovare risposte per inquadrare la propria attività.

Quello che auspico è una maggiore apertura da parte dei commercialisti all’ecosistema delle startup che probabilmente costituirà uno dei punti fermi del futuro anche della nostra economia.

 Cosa si aspetta per i prossimi anni dalle start-up italiane? Ci sono i presupposti per l’esplosione del settore o la crescita del settore sarà lenta e l’Italia continuerà a rincorrere su questo piano a livello globale?
L’Italia deve diventare un luogo più ospitale per le nuove imprese innovative. Per un Paese come il nostro, dove la mobilità sociale è minima, l’innovazione può essere la chiave per l’emancipazione di tutti coloro che sono pronti a mettersi in gioco.

Aperitivi, startup week end, premi dell’innovazione, convegni: in ogni angolo d’Italia ci sono iniziative dove è possibile ascoltare gli startupper. Il fermento è diffuso e cresce anche grazie al sostegno delle istituzioni pubbliche. Una bella ventata di entusiasmo e ottimismo per una società provata dalla più grave crisi economica dal dopoguerra.

Nei prossimi anni nessuno vedrà più le nuove aziende innovative come una specie rara, da studiare per la sua eccezionalità. Le startup saranno piuttosto i nuovi snodi di collegamento tra università e impresa, tra saperi tradizionali e tecnologia, tra giovani di talento e manager più anziani, tra amministrazioni locali e investitori internazionali, tra città di provincia nostrane e grandi metropoli straniere. L’Italia vincerà questa partita cruciale mettendo a frutto questo enorme potenziale innovativo.

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