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Slovenia: ecco come l’UE e l’euro hanno distrutto un’economia solida

venerdì 10 febbraio 2017, di Daniele Morritti

La Slovenia ha sempre associato a un solido modello di welfare una forte propensione commerciale, attitudini che ne hanno fatto indiscutibilmente uno dei Paesi più sviluppati dell’intera Europa dell’Est.

Tuttavia, con l’adesione all’UE e all’Euro, l’economia slovena ha subito un forte tracollo, segnato al contempo dalla de-industrilizzazione e dalla precarizzazione del lavoro.

Ecco nel dettaglio un’analisi sullo stato di salute dell’economia slovena.

Slovenia, le ragioni del successo economico

In un saggio apparso sulla rivista New Left Review, Joachim Becker attribuisce l’esclusività del modello economico sloveno “all’approccio graduale” con il quale l’establishment politico ha saputo condurre la transizione da un sistema dirigistico di stampo sovietico a uno misto, più prettamente capitalistico.

Ancor prima che si affrancasse dal controllo Yugoslavo nel 1991, la Slovenia vantava già una delle più ricche e attive economie dell’Europa dell’Est. La competitività dei suoi prodotti era apprezzabile anche sui mercati dell’Europa occidentale.

In seguito all’indipendenza e al crollo del comunismo, la Slovenia si aprì al capitalismo globale, mantenendo però salde alcune prerogative, per così dire, di stampo dirigistico.

Tra queste figurano:

  • una forte impresa di Stato;
  • il controllo pubblico sul sistema bancario;
  • il controllo sul movimento dei capitali;
  • un tasso di cambio flessibile, atto a preservare al contempo le esportazioni e il livello dei salari, ma anche a proteggere l’economia dall’eventualità di uno Shock esterno;
  • il mantenimento di un forte sistema corporativo (la quasi totalità dei lavoratori sloveni era iscritto al sindacato negli anni ’90);
  • un sistema di previdenza sociale tra i più “generosi” dell’area.

La recessione che colpì l’Europa agli inizi degli anni ’90 ebbe effetti disastrosi nell’area post-comunista e si protrasse a lungo, soprattutto nelle Repubbliche Baltiche, dove la neo liberalizzazione dell’economia aveva fiaccato notevolmente la capacità di risposta dello Stato alle crisi economiche.

La particolare architettura economica slovena consentì al Paese di uscire dalle sabbie mobili della crisi già a partire dal 1993. Anche se il livello dei salari si mantenne più basso rispetto al 1991, l’intervento dello Stato consentì alle famiglie di beneficiare, lungo tutto l’arco della crisi, di sostanziali “benefit sociali”.

Con tutte le difficoltà connesse alla transizione verso un capitalismo compiuto, la Slovenia giunse all’appuntamento con l’Europa in buona salute.

Qual è stato l’impatto dell’UE sull’economia slovena?

Ancor prima dell’allargamento a Est, che tra il 2004 e il 2005 portò all’ingresso nell’UE 10 nuovi Paesi, l’UE aveva approntato con i Paesi dell’area post-comunista accordi commerciali che Becker definisce del tutto “asimmetrici”. In poche parole, l’UE chiedeva ai Paesi dell’area post-comunista di aprirsi al commercio con gli Stati membri quando questi invece potevano astenersi dal farlo.

Una condizione di subordine che non toccava la Slovenia, la quale

“tra il 1994 e il 2003 [a ridosso nell’ingresso nell’Ue] presentava un tasso di crescita più alto rispetto ai 15 membri dell’Ue”.

Un periodo, quello tra il 1994 e il 2003, in cui l’economia slovena era sostenuta al contempo dalla domanda interna e dalla fiducia concessa al Paese dagli investitori sotto forma d’investimenti esteri diretti.

Tuttavia, con l’ingresso nell’UE avvenuto nel 2004 ha inizio per la Slovenia, sotto il premierato del Democratico Janez Janša, un periodo di profonda finanziarizzazione dell’economia. Processo intensificato dall’aggancio del Tallero sloveno all’euro.

Una volta fatto il proprio ingresso nell’area dell’euro, la Slovenia ha abbandonato il controllo dei capitali in vigore fin dai primi anni ’90 e con esso il potere di stabilire una politica monetaria indipendente.

Come riportato da Becker, da una “politica economica eterodossa”, fatta di sostegno alla domanda e all’occupazione, con l’ingresso nell’UE, e poi nell’euro, la Slovenia ha adottato una “politica economica ortodossa”, che fa del deflazionismo e della compressione dei salari l’unico modo per ristabilire la competitività dei prodotti sui mercati.

Privandosi della gestione del tasso di cambio, la Slovenia ha definitivamente compromesso la sua propensione industriale, sostituita da una sedicente economia dei servizi finanziari - agevolata per definizione dall’assenza del rischio di cambio.
Il modello di welfare sloveno è così scomparso sotto i colpi del consolidamento fiscale resosi necessario, vista l’impossibilità di svalutare, in seguito alla crisi del 2008.

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