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Renzi, mai più con gli scissionisti: “La nostra gente non perdonerà mai i loro brindisi…”
lunedì 10 luglio 2017, di
Finché ci sarà Matteo Renzi alla guida del Partito Democratico, non ci saranno possibilità di alleanze alle prossime elezioni politiche con gli scissionisti, ben che meno con la sinistra critica.
Se già era molto improbabile qualsiasi forma di coalizione di centrosinistra che comprendesse anche il PD, dopo le nuove anticipazioni del libro “Avanti” scritto da Matteo Renzi questa ipotesi ora può dirsi anche impossibile.
Nella sua fatica letteraria infatti l’ex premier, già sotto attacco da parte della sinistra per le frasi sui migranti, torna a puntare il dito contro gli scissionisti e in particolare Massimo D’Alema, al quale non viene perdonato il brindisi dopo la vittoria del No al Referendum dello scorso 4 dicembre.
Oltre che gli scissionisti, non ci sono però parole al miele anche nei confronti di Giuliano Pisapia, accusato (ingiustamente) di aver contribuito alla caduta del secondo governo Prodi. Una serie di attacchi questi di Matteo Renzi che con ogni probabilità andranno a segnare l’addio a ogni forma di dialogo con il resto del centrosinistra.
Renzi all’attacco di D’Alema e Pisapia
Matteo Renzi non dimentica i festeggiamenti da parte di una fetta del centrosinistra dopo l’esito del Referendum dello scorso 4 dicembre, che andò a sancire anche la fine del governo guidato dall’attuale segretario del Partito Democratico.
Una vicenda questa che l’ex premier si è legato al dito e che non intende mettersi alle spalle, andando di conseguenza a condizionare tutte le scelte future in materia di alleanze elettorali da parte del PD.
Nelle nuove anticipazioni del libro “Avanti”, il segretario dem torna ad attaccare gli scissionisti parlando di vocazione suicida e di brindisi dopo la vittoria del No al Referendum.
Quando la sinistra italiana vede che qualcosa inizia a funzionare subito scatta il meccanismo dell’autodistruzione, una vocazione suicida che è incomprensibile ai più. Non decidono di andarsene dopo il Jobs Act, dopo la Buona scuola, dopo le unioni civili, dopo la legge elettorale e non se ne vanno nemmeno dopo la sconfitta referendaria: nella notte tra il 4 e 5 dicembre sono troppo impegnati a brindare per andarsene (…) Un brindisi che la nostra gente non perdonerà mai. No, i fuoriusciti annunciano di andarsene l’ultima settimana di gennaio 2017, con una dichiarazione affidata al reale leader di quell’area: Massimo D’Alema.
Uno stoccata quindi diretta in particolare a D’Alema, con gli scissionisti del Movimento Democratici e Progressisti che poi nelle pagine del libro vengono accusati di essere solo interessati alle poltrone.
La pronuncia della Corte Costituzionale ha introdotto nei ragionamenti degli aspiranti scissionisti un elemento di certezza: se fossero rimasti nel Pd, in parlamento non ci sarebbero più rientrati. A quel punto, frustrati nella prospettiva di tornare a occupare gli scranni da cui continuare a fare la politica di cui sono maestri – quella del logoramento, chiaramente - decidono di andarsene (…) Non è l’aumento dei posti di lavoro, ma la diminuzione dei posti in parlamento a determinare la scissione.
Per Matteo Renzi quindi la decisione presa da parte di Bersani e soci di abbandonare il Partito Democratico è stata dettata da una sorta di sopravvivenza politica. Quanto a un nuovo possibile Ulivo, l’ex premier non risparmia critiche anche a quella che fu l’Unione.
Una tragica alleanza che metteva insieme partiti che scendevano in piazza contro il governo contestando al pomeriggio le cose approvate al mattino in Consiglio dei ministri. (...) Si tratta di leader che allora stavano contro l’Ulivo, o dall’esterno, in Rifondazione Comunista come Giuliano Pisapia, o dal’interno, a cominciare da Massimo D’Alema, che quell’Ulivo contribuì a segare.
In difesa sul merito di Pisapia va comunque detto che, l’allora parlamentare di Rifondazione Comunista, votò contro la caduta del secondo governo Prodi, andando all’opposizione solo quando nacque il nuovo esecutivo guidato da Massimo D’Alema.
Parole dure comunque quelle di Matteo Renzi contro tutto l’attuale universo del centrosinistra italiano alternativo al Partito Democratico. Una serie di prese di posizione che non potranno che produrre l’accentuarsi della spaccatura che da tempo si è venuta a creare.
Il Partito Democratico sempre più solo
Nonostante che un sondaggio tra gli elettori PD abbia indicato come al momento sarebbero propensi per una coalizione unitaria, questa ipotesi allo stato attuale delle cose è praticamente impossibile da realizzare.
Il pensiero di Renzi sul comportamento dell’allora minoranza PD sul Referendum del 4 dicembre conferma il sentore che già era percepibile da tempo: l’ex premier non ha mai perdonato questo sgarbo quasi personale.
Vista la sua ampia vittoria alle primarie del partito, Matteo Renzi quindi si sente come ancor più legittimato dal portare avanti la sua battaglia contro ogni forma di accordo con chi ha abbandonato il PD.
D’Alema più volte ha ipotizzato un possibile patto programmatico per dar vita ad un governo soltanto dopo il voto, ma adesso anche questa ipotesi sembrerebbe essere soltanto una chimera vista la spaccatura profonda.
Non è un caso infatti che adesso una parte del mondo centrista, per bocca del ministro Carlo Calenda, abbia iniziato a strizzare l’occhio a Renzi con l’obiettivo che il PD possa ampliare la propria coalizione alle elezioni guardando però ai moderati invece che alla sinistra.
Ipotesi questa che non sarebbe da escludere, anche se in merito alle alleanze se ne riparlerà a settembre, quando lo spinoso affare della legge elettorale tornerà ad essere al centro dell’agenda politica, nella speranza che questa volta venga però trovato un accordo dopo il nulla di fatto di inizio giugno.