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Referendum: da “Basta un Sì” a “Stavolta No”, è guerra tra simboli. Parla l’esperto
giovedì 1 dicembre 2016, di
“Basta un Sì”, “Stavolta No”, “Insieme Sì cambia”, “No grazie”, e tanto altro ancora. La campagna referendaria sulla riforma costituzionale, ormai agli sgoccioli, non ha rappresentato solo il terreno di confronto (a tratti di battaglia) tra due diverse visioni del Paese e delle regole del gioco democratico, ma anche l’occasione per i protagonisti della politica di ieri e di oggi, dismesse per un momento le casacche dei loro partiti di appartenenza, di coalizzarsi in due poli egualmente eterogenei.
Uno scontro tra due schieramenti virtuali e temporanei - il Sì e il No, popolati da nuovi loghi e nuovi slogan - che nel corso degli ultimi mesi ha sostituito la tradizionale competizione tra partiti.
Gabriele Maestri è uno dei massimi esperti italiani di simboli politici. Dottore di ricerca in Teoria dello stato, studioso di sistemi elettorali e diritto dei partiti, è autore, tra i vari libri, di “Per un pugno di simboli” (2014, Aracne editrice). In un colloquio con Forexinfo.it, Maestri ha analizzato i loghi utilizzati nel corso di questa campagna referendaria.
Cosa ci dicono del fronte del Sì e del No i simboli scelti da comitati e associazioni per la campagna referendaria?
“Ci dicono molto sui due schieramenti e, in fondo, anche sugli elettori italiani. In questo caso sulla scheda non troveremo simboli ma solo i quadratini con il Sì e il No: ogni emblema è stato dunque scelto per cercare di riunire i cittadini nel nome non di un ideale o di un leader, ma dell’una o dell’altra scelta nell’urna.
Ciascuna parte ha sentito il bisogno innanzitutto di darsi un punto di ritrovo civico, slegato dai partiti e con simboli che facevano grande sfoggio dei colori nazionali, nel tentativo di essere il più inclusivi possibili: così si spiega la nascita di Basta un Sì e del Comitato per il No.
Subito dopo, peraltro, su entrambi i fronti si sono voluti organizzare consenso e propaganda in modo più capillare, area per area e a volte partito per partito, onde non lasciare nulla al caso, facendo pur sempre riferimento ai due grandi contenitori "civici" (quello del No un po’ più "civico" di quello del Sì).
Verrebbe voglia di utilizzare l’espressione "unità nella diversità" cara ad Aldo Moro (in seguito applicata all’Unione europea): da una parte e dall’altra la causa da perseguire è comune, ma ogni gruppo lo fa coi propri modi, le proprie parole, i propri accenti e, dunque, anche coi propri simboli.
Il tutto risponde in pieno alla massima di Ennio Flaiano, secondo il quale gli italiani sono una collezione di casi unici: lo sono di norma, figurarsi in politica e in momenti delicati come questo…”.
Quale dei due schieramenti è stato più prolifico nella produzione di simboli e quale il più creativo?
“Certamente quello del No, era naturale aspettarselo. I due schieramenti sono piuttosto variegati e, quanto ai partiti, non del tutto rispettosi degli schieramenti che sarebbe lecito attendersi in altre condizioni; di certo, però, il fronte del dissenso appare, usando un’espressione di Marco Follini, "una convergenza del tutto erratica e casuale di forze che non hanno e non pretendono di avere nulla in comune", una compagnia occasionale pronta a sciogliersi una volta commentato l’esito del voto.
Se così è, al di là delle molte forze sociali che si sono riconosciute nel comitato civico del No, presieduto da Alessandro Pace (tranne, ad esempio, il Comitato famiglie per il No), era naturale che molti dei partiti schierati contro la riforma sentissero il bisogno di marcare la loro presenza con un comitato (e un logo) "personalizzato", per mobilitare meglio i propri militanti e simpatizzanti e - aspetto da non sottovalutare - per dar prova della propria esistenza.
In caso di partiti spaccati al loro interno, è ancora più giustificato trovare uno o più comitati nati per soddisfare l’esigenza di distinguersi e di avere visibilità: vale per il Pd, che vede schierati da una parte la Sinistra per il Sì di Fassino, dall’altra Scelgo No di Guido Calvi e D’Alema e i Democratici per il No di Di Traglia; succede però anche a formazioni più piccole, come il Psi che appoggia il sì, ma sconta il dissenso del gruppo che fa capo a Bobo Craxi che ha fondato un Comitato socialista per il No”.
Ragionando per assurdo, quanto può influire un simbolo sulla scelta dell’elettore al momento del voto?
“Tanto assurdo non è, o perlomeno non era. I simboli hanno essenzialmente due scopi: distinguersi dai concorrenti politici (per evitare confusione) e permettere a iscritti e simpatizzanti di identificarsi in un segno e in tutto il bagaglio di valori che vuole rappresentare.
Un tempo valeva soprattutto quest’ultimo aspetto, per cui modificare un simbolo era un passaggio delicatissimo, quasi sanguinoso, destinato certamente a far discutere: lo dimostra il "dramma collettivo" nella base di Pci e Msi ai tempi delle loro rispettive svolte politiche, nel 1991 e nel 1995.
Oggi ci si identifica molto meno e gli emblemi si cambiano con più facilità (cosa avvenuta, peraltro, anche con alcuni loghi dei comitati, mutati in corso d’opera); resta però l’esigenza di farsi riconoscere e individuare, per evitare che i consensi prendano altre vie.
Ciò vale soprattutto per quei partiti che si richiamano alla stessa tradizione politica o si collocano nella medesima area, dunque devono farsi identificare chiaramente dagli elettori (che magari si trovano di fronte a più emblemi con falce e martello o con simil-fiamme e possono confondersi); vale però anche, paradossalmente, per i molti gruppi politici che non usano segni grafici particolari ma nei loro loghi piazzano solo lettere e tricolori in abbondanza, per cui devono riuscire in qualche modo a dire davvero "chi" siano in quei cerchi di 3 centimetri di diametro”.
Attualmente quanti simboli si possono contare nel panorama politico italiano?
“Fare una stima è francamente difficile, perché a volte basta una lite in più o in meno per far comparire un simbolo nuovo; di più, visto che sciogliere un partito in Italia sembra una questione particolarmente difficile, certi emblemi spariscono dalla circolazione, ma in realtà sopravvivono nell’ombra, pronti a essere risvegliati al bisogno (com’è accaduto a Forza Italia alla fine del 2013).
Si può però fare il conto dei simboli rappresentati nelle aule parlamentari: si arriva al numero tondo - e per molti inatteso - di 40, comprendendo sia i partiti esistenti fin dall’inizio, sia quelli nati in corso di legislatura, sia quelli che non avevano eletto nessun parlamentare, ma cui hanno aderito i singoli deputati o senatori fuoriusciti dal loro gruppi di provenienza o che - grazie ad alcune regole seminascoste nei regolamenti delle Camere - hanno permesso a questo o a quel partito neonato di costituire un gruppo o una componente in deroga.
E se all’inizio di una legislatura il numero delle forze è sempre più contenuto, con il passare dei mesi (e con l’aumentare dei cambi di casacca) il contatore dei simboli va avanti…”.
Com’è nata la tua passione per i simboli dei partiti?
“E’ nata molto presto, quando ero ancora bambino. A metà degli anni ’80 vedevo in giro molti manifesti dei candidati, ma soprattutto sgranavo gli occhi di fronte alle grafiche televisive delle maratone elettorali: solo nel 1992 una legge avrebbe mandato in soffitta le schede stampate in bianco e nero, in compenso in tv e sui muri i simboli apparivano pieni di colore, una tentazione incredibile per lo sguardo di un bimbo.
All’inizio era solo un divertimento, tipico di chi ama pensare di guardare cose da grandi; crescendo la curiosità è rimasta, anzi è cresciuta. Quando, dopo la laurea in giurisprudenza, ho iniziato ad appassionarmi alla ricerca, ho scoperto che dietro quei cerchietti (che nel frattempo erano molto cambiati rispetto a quelli della mia infanzia) c’era un mondo di ideali e interessi, battaglie e scherzi da furbetto che meritava di essere esplorato... così sono nati vari articoli, due libri e il mio sito isimbolidelladiscordia.it. E, dopo tutti questi anni, non ho smesso di divertirmi, da buon drogato di politica”.
La campagna elettorale del referendum sta ormai per concludersi: come la giudichi?
“Francamente la più brutta e sgradevole mai vista. Il clima era già pesante alcuni mesi fa, nelle ultime settimane però si è fatto del tutto irrespirabile. Si dovrebbe discutere di una riforma importante, che si può con ragione tanto condividere quanto criticare; da troppo tempo invece la disputa è diventata tutta politica, concentrato sulla figura di Matteo Renzi e sulla sua permanenza al governo (non essendo lui affatto estraneo a questa personalizzazione dello scontro).
Alle persone comuni che hanno cercato di comprendere qualcosa di una riforma non proprio facile da esaminare, si sono affiancati su entrambi i fronti molti "esperti" improvvisati, prontissimi a offendere e ad alzare il tono della polemica; quel che è peggio, per la prima volta il mondo dei costituzionalisti si è profondamente spaccato e, da una parte e dall’altra, c’è chi si è lasciato contagiare da un clima da stadio e si è aggregato a questa o a quella tifoseria, certamente non contribuendo a rasserenare il clima.
Eppure il 5 dicembre, una volta noto il risultato, l’Italia dovrà riprendere a vivere "normalmente", che vinca il Sì o il No e questo non è il clima migliore. C’è solo da sperare che, nella post-Italia, il paese costantemente provvisorio teorizzato da Edmondo Berselli, questa pagina e i suoi veleni siano lasciati presto alle spalle”.
