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Referendum Kurdistan: governo rinuncia all’indipendenza, pericolo scampato guerra civile in Iraq?
giovedì 16 novembre 2017, di
Referendum indipendenza Kurdistan: cerchiamo di capire meglio su cosa si basa il voto per il distaccamento dall’Iraq e perché, nonostante la vittoria del Sì, adesso l’idea di una separazione è praticamente tramontata.
L’Iraq potrebbe trovare un po’ di pace. Dopo aver liberato la città di Mosul dall’Isis, che la governava da diverso tempo, Baghdad ha dovuto affrontare una nuova grana, ovvero il Referendum per l’indipendenza del Kurdistan che si è tenuto lo scorso 25 settembre.
Addio indipendenza per il Kurdistan
A nulla sono valse la pressioni internazionali per impedire il Referendum, con il leader del Kurdistan iracheno Massoud Barzani che non si è fatto intimorire anche dalle minacce arrivate da Baghdad.
Alla fine è stata una vittoria schiacciante per il Sì, che ha raggiunto il 93%. Fin dal pomeriggio, migliaia di persone si sono riversate nelle strade per festeggiare quello che potrebbe essere un primo passo verso l’indipendenza.
Alcune settimane dopo il voto poi la situazione è precipitata, con l’Iraq che ha riconquistato la città di Kirkuk da tempo in mano ai curdi e che aveva votato in gran parte per il distacco da Baghdad.
L’avanzata irachena poi non si è arrestata tanto che il presidente del Kurdistan Barzani ha sospeso la dichiarazione di indipendenza, nella speranza così di poter aprire una trattativa con Baghdad.
Alla fine dopo le dimissioni dello stesso Barzani, il governo regionale del Kurdistan ha accettato la sentenza dell’Alta Corte Suprema che aveva giudicato illegale il Referendum. I sogni di indipendenza quindi sono stati riposti nel cassetto.
Il Referendum
Il Referendum indipendenza Kurdistan è stato indetto lo scorso giugno dal presidente della Regione autonoma Massoud Barzani. Lunedì 25 settembre quindi si è svolto questo suffragio per decretare il distacco dall’Iraq.
Il Kurdistan Regional Government di fatto già amministra una vasta zona nella parte Nord dell’Iraq, ovvero quella a ridosso dei confini con l’Iran e la Turchia. Dopo lunghe battaglie con l’Isis, i curdi però ora controllano anche diverse altre importanti città come Kirkurk, Singar e Mahmur.
Dopo la decisione di indire un Referendum, il Parlamento di Baghdad ha votato per rendere la consultazione del 25 settembre nulla e illegittima, conferendo al primo ministro Haider al Abadi poteri per “prendere tutte le misure necessarie per preservare l’integrità territoriale”.
Massoud Barzani però ha fatto intendere che il Referendum potrà essere rinviato al 2018 soltanto soltanto se l’Iraq, fin da subito, dichiari di accettare ogni eventuale risultato.
Condizione questa che non è stata accettata da Baghdad. Per la maggior parte dei deputati iracheni, esclusi quelli curdi che non hanno partecipato alle votazioni parlamentari, il Referendum è “una minaccia all’unità dell’Iraq, garantita dalla Costituzione, e una minaccia alla pace civile e regionale in quanto viola la Costituzione irachena”.
Il Kurdistan Regional Government è riconosciuto proprio dalla Costituzione dell’Iraq come Regione autonoma dal 2005. Oltre a governare localmente però ora Barzani vuole il riconoscimento come Stato, che sarebbe il primo per il travagliato popolo curdo da secoli sparpagliato anche tra Iran, Siria e Turchia.
Alla fine quindi il Referendum si è tenuto con la schiacciante vittoria del Sì. Il governo di Baghdad si è subito affrettato a definire incostituzionale il voto, ma la tensione rimane alta in attesa di quelli che potrebbero essere gli sviluppi.
Rischio guerra civile?
Prima della fatidica data del 25 settembre, anche diverse diplomazie internazionali si sono adoperate per cercare di scongiurare questo Referendum sull’indipendenza del Kurdistan chiedendone il rinvio.
Per una volta Stati Uniti, Turchia e Iran, sono state dello stesso avviso che, se si dovesse tenere la consultazione, questa potrebbe essere un nuovo motivo di tensione che andrebbe a colpire una zona già interessata dalla guerra contro l’Isis.
Nello specifico, gli Usa temono che un eventuale conflitto interno potrebbe distogliere dalla guerra contro il califfato, mentre Turchia e Iran hanno timore che i curdi presenti nel loro paese possano ambire anche loro al distaccamento dai governi centrali.
Il Kurdistan può contare su un affiatato esercito che negli ultimi mesi ha sottratto diverse città al sedicente Stato Islamico. Con l’Iraq che non è disposto in nessun modo ad accettare questa separazione, che coinvolgerebbe anche zone ricche di petrolio, lo scoppio di una nuova guerra civile nel paese è più che probabile.
Oltre alla lotta contro l’Isis e alla guerra civile nello Yemen, questo nuovo conflitto potrebbe mandare in maniera definitiva nel caos tutto il Medio Oriente. Non è un caso quindi che molti altri Stati si stiano adoperando per perlomeno rimandare il Referendum.
L’unico paese ad appoggiare finora la battaglia indipendentista di Barzani e il suo progetto di creare uno stato curdo è stato Israele, come affermato in un comunicato dallo stesso presidente Benjamin Netanyahu.
Alla vigilia del voto Barzani ha commentato che il suo popolo "morirà combattendo", mentre sia la Turchia che l’Iran hanno aumentato la presenza di propri militari alla frontiera, per paura che la situazione possa degenerare.
Dopo il Referendum, l’attacco poi dell’esercito iracheno alla città di Kirkuk è stato un segnale molto pericoloso: Baghdad non ha alcuna intenzione di perdere dei territori molto preziosi dal punto di vista del petrolio, con la situazione che ora rischia di degenerare.
L’esercito iracheno infatti non ha arrestato la propria marcia dopo aver ripreso il controllo di Kirkuk, attaccando i Peshmerga curdi anche nell’altra area contesa della Piana di Ninive.
Vista l’escalation militare, Barzani ha deciso di sospendere la dichiarazione di indipendenza del Kurdistan considerate anche le sconfitte riportate nelle ultime settimane del suo esercito.
La rinuncia all’indipendenza poi si spera che sia il passo decisivo per porre fine agli scontri prima che potessero sfociare in una guerra civile. Le trattative infatti ora andranno verso la richiesta dell’Iraq di una resa totale da parte dei curdi.
