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Portogallo 2013: disoccupazione record, tasse alle stelle e allarme povertà

mercoledì 13 febbraio 2013, di Daniele Sforza

Non c’è fine alla crisi del Portogallo: l’austerity sta travolgendo uno dei Paesi dell’Ue, portando alla fame i bambini e milioni di giovani alla disoccupazione. Non c’è fine al burrone in cui sta precipitando un Paese pressato da tagli, pressione fiscale e manovre anti-crescita. L’austerity sta condannando i portoghesi al destino della Grecia. Nessuno, però, dai piani alti sembra voler muovere un dito per salvare la situazione, anzi. Il 2013 sarà un altro anno di tagli e manovre fiscali, che, non è difficile prevederlo, devasterà i progetti di crescita di un Paese che sta subendo la crisi già da qualche anno.

Disoccupazione

Il Portogallo è una delle mete preferite dai turisti: tra i principali motivi figurano il basso costo di alberghi e ristoranti e la semplicità delle condizioni di vita. Dietro questo scenario apparentemente idilliaco (ma solo per il turista) si nasconde un presente a dir poco orrido, che nessuno di noi vorrebbe vivere.

Il tasso di disoccupazione, ormai, sta battendo ogni record, visto che nel quarto trimestre 2012, dati alla mano, è incrementato di ben 1,1 punti percentuali, arrivando a quota 16,9%. Un nuovo record storico, insomma. Naturalmente, negativo. Rispetto alle stime iniziali, il tasso di disoccupazione ha registrato un aumento dello 0,3% nell’intero 2012, attestandosi a quota 15,8%. Il 2013 sarà un anno ancora peggiore, visto che i senza lavoro saliranno a quota 16,4% (sempre secondo le stime).

Non c’è lavoro in Portogallo e chi ce l’ha rischia di perderlo da un giorno all’altro: le aziende, oberate dalla pressione fiscale, tagliano i posti di lavoro. I senza lavoro, oberati da debiti e spese obbligate, tagliano i consumi. Un’equazione piuttosto facile da calcolare: la crescita è sempre più lontana, la débacle sempre più vicina.

2013, un altro anno di tagli

Il Portogallo, negli ultimi anni, ha venduto i suoi beni più preziosi, come la gestione degli aeroporti alla Francia o la rete elettrica Edp alla Cina, senza contare le numerose privatizzazioni (tra cui spicca quella probabile della metropolitana). Alla troika, però, non è bastato. E allora ecco che il 2013 si presenta come un nuovo anno di manovre fiscali, un anno in cui i portoghesi pagheranno ancora il loro dazio asservendosi alla politica dell’austerity. Taglio ai posti di lavoro, via i giorni di ferie, nuove tasse su rendite e sanità, a tutto ciò si aggiunge perfino la cancellazione del Ministero della Cultura. Ma il vero incubo è rappresentato dalla legge di bilancio, condannata da tutte le principali forze politiche, rea di vessare ulteriormente i cittadini portoghesi.
Le forbici dello Stato (o, meglio, della troika) opereranno sulla spesa pubblica, sull’istruzione e sul welfare per oltre 1 miliardo di euro (per ciascun settore).

Un lavoro malpagato e l’incubo della fame

Il Portogallo si sta svendendo. I portoghesi, ormai, lavorano solo per rispettare gli obiettivi della troika: lo stipendio medio è di 3,40 euro l’ora e quasi 1 milione di portoghesi (circa il 16% degli occupati) non riesce ad arrivare a 600 euro al mese.
Crescono i mercatini delle pulci, mentre i mercati rionali risultano sempre più vuoti, sia di prodotti sia di clienti.
Al Portogallo resta solo il turismo: i centri delle principali città si stanno svuotando, le periferie pullulano di nuovi locatari, mentre la sanità resta un problema serio, quasi insostenibile e reso ancora più grave dagli ulteriori tagli previsti per il 2013.

Naturalmente le vittime preferite dall’austerity sono i bambini: quelli che non possono fare nulla, ma solo subire gli effetti devastanti delle manovre fiscali. I bambini hanno fame e si sono registrati già molti casi di studenti che sono svenuti in classe.
La povertà assilla le famiglie, costrette a recarsi alla mensa per avere almeno un pasto al giorno. E in tutto questo, ricordiamoci che stiamo parlando del Portogallo.

L’ombra della repressione su manifestazioni e proteste

Naturalmente non mancano le manifestazioni e le proteste, molte delle quali represse. Recenti sono state le polemiche sull’operato delle forze dell’ordine e della Procura, giudicati molto severi contro gli attivisti. Battaglie che iniziano dai social network, accolgono consensi e successi, e poi sfociano nelle piazze, per lo più. Ma cavilli legali e burocratici rendono questi movimenti di piazza - anche ridotti - manifestazioni non autorizzate, reati da scontare penalmente. In molti hanno protestato sui social network rivelando l’atteggiamento intimidatorio di autorità e istituzioni nei confronti delle proteste dei cittadini.

Insomma, ci troviamo di fronte a un altro evidente esempio di fallimento dell’austerity, ma anche in questo caso, come per la Grecia, nessuno sembra volersene interessare più di tanto. Dopotutto, siamo in tempo di elezioni.

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