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La crisi in Ucraina fa una vittima d’eccezione: la birra. Vi spieghiamo il perché

venerdì 9 maggio 2014, di Vittoria Patanè

Negli ultimi mesi sembra che tutto quello che succede sia colpa dell’Ucraina. Va male una trimestrale? I conti sono in rosso? Una determinata economia rallenta? La disoccupazione aumenta? La motivazione risiede a Kiev.

Strano, molto strano, considerando che fino a poco tempo fa gli esperti di tutto il mondo gridavano in lungo e in largo quanto poco contasse l’Ucraina per l’economia globale e quanto fosse insensato preoccuparsi per l’esposizione delle banche occidentali alla Russia. Ma se sembra facile giustificare superficialmente le difficoltà che gli istituti bancari stanno riscontrando a causa della fuga dei capitali e dell’accumulo di debiti in una nazione in cui pagare un debito sembra essere l’ultima cosa che hanno in mente i cittadini, la crisi in Ucraina pare stia facendo una nuova e inaspettata vittima, salita agli onori delle cronache ieri quando il gigante della birra Carlsberg ha rivelato le proprie perdite nette ed emanato un profit warning.

L’Ucraina sta uccidendo la birra.
Molti pensano che le rivoluzioni e le guerre civili siano stupidaggini per la sete e per il consumo di alcool. Ma forse non è così.

Come ha riportato il Wall Street Journal, il motivo per il quale Carlsberg, il quarto maggiore produttore di birra al mondo, ha subito così tanto gli effetti degli eventi in Ucraina è da addebitare al fatto che la società danese ha costruito negli anni una significativa esposizione alla Russia, scommettendo sull’est Europa, attraverso marchi come Baltika e Tuborg.

“La scommessa è diventata così grande che oggi la Russia è il maggior mercato di riferimento dell’azienda”.

E questo sta producendo postumi degni della peggior sbronza della vita.

Per capire in che situazione si trovi attualmente la Carlsberg basta guardare i numeri. Il produttore danese di birra ha tagliato l’outlook 2014 proprio a causa dei problemi a Mosca, mercato che nel primo trimestre ha registrato un calo del 5% nelle vendite. Nel primo trimestre dell’anno in corso la società ha registrato un utile operativo rettificato pari a 435 milioni di corone (60 milioni di euro circa), contro 628 milioni (circa 85 milioni di euro) del primo trimestre 2013 e a fronte di attese degli analisti di Reuters per 749 milioni (100 milioni di euro).

Un crollo vero e proprio insomma. E la colpa, secondo l’azienda, sta proprio nell’esposizione alla Russia. D’altronde dare la colpa a Putin sembra diventato uno sport olimpico. Ma c’è anche un secondo “carnefice” per i disastrosi risultati di Carlsberg. L’abbiamo già sentito nominare qualche mese fa niente di meno che dalla Federal Reserve: il maltempo.

Carlsberg ha anche pagato le cattive condizioni meteorologiche in Cina e la debolezza dell’economia del Vietnam. La società afferma che le condizioni di crescita organica, escludendo l’impatto degli scambi, rimangono forti e che le performance delle sue etichette di punta, miglioreranno.

Scrive il WSJ.

Ma, come sottolinea Zerohedge, considerando che la multinazionale danese, nello scorso trimetre, ha riportato un fatturato netto nell’est Europa inferiore del 14% rispetto all’anno precedente e il suo profitto operativo complessivo è crollato di quasi un terzo, forse c’è una ragione un po’ più sistemica per la caduta della domanda dei suoi prodotti. Ragione che spiega anche il ribasso di tutti gli altri grandi produttori di birra e che sicuramente precede gli eventi in Ucraina.

Ma è inutile spiegare quale sia questa ragione, è inutile anche cercare di scoprirlo perché, come abbiamo detto in precedenza, dare la colpa a Kiev e alla cattiveria della Russia è facile.

Magari Putin ha deciso di sanzionare gli Stati occidentali impedendo ai suoi cittadini di bere birra americana o europea. O forse il cattivo tempo ha fatto sì che i moscoviti preferissero la vodka. Fatto sta, che è tutta colpa della crisi Ucraina.

(Fonte: Zerohedge)

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