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Italia: il caro benzina rallenta la ripresa

lunedì 4 novembre 2013, di Maurizio Porcu

“L’Italia non è un paese autosufficiente dal punto di vista energetico.” Questa frase ci è stata ripetuta così tante volte sin dalle prime lezioni di geografia alle scuole elementari che parrebbe inutile e persino sconveniente chiedersi se questo fatto influenzi o no il prezzo dei carburanti nel nostro paese.

Seguendo un semplice ragionamento pare ovvio che l’importazione delle materie prime o dei semilavorati generi un costo più elevato del prodotto finale rispetto a nazioni con proprie risorse presenti sul territorio. Morale della favola, a ogni minima variazione del prezzo del petrolio corrisponde in paesi importatori come l’Italia, un immediato adeguamento da parte delle compagnie distributrici del prezzo alla pompa, specialmente in caso di rialzo.

Eppure non tutto il costo del carburante ha un valore variabile legato all’andamento del mercato. In realtà ben tre quinti del prezzo dei prodotti petroliferi sono da considerarsi come costi “fissi”, o quasi, visti anche i recenti sviluppi dell’anno appena trascorso.
L’ultimo rincaro riguardante la parte “fissa”, cioè quella delle imposte, è arrivato il 1° Ottobre quando l’IVA è aumentata dal 21 al 22%. Così se andiamo ad analizzare ogni singola voce di spesa relativa al costo di un litro di benzina capiamo sin da subito che a guadagnare dalla vendita al dettaglio del carburante non sono tanto i privati bensì lo stato centrale.

In percentuale per ogni litro acquistato solo il 40% va alla compagnia distributrice tra costo netto del carburante e guadagno del gestore della pompa, mentre il 18% finisce nelle casse statali sotto forma di IVA (questa si applica separatamente alle accise e al prezzo al netto delle imposte). Niente di scandaloso va detto, poiché ogni paese europeo impone tale imposta sulla vendita dei carburanti. È il restante 38% quello che rientra sotto la voce “accise”, la vera causa della differenza tra il costo alla pompa nel nostro paese rispetto agli altri stati europei.

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Insomma senza le tanto famigerate tasse fare un pieno al distributore con un serbatoio da sessanta litri ci costerebbe all’incirca 41 euro su 103 che ne paghiamo oggi, dei quali 18 se ne vanno via con l’imposta sul valore aggiunto e ben 43 con quella lista infinita di balzelli ideati dal Governo Mussolini nel 1935.

Fu proprio il governo fascista a inserire la prima accisa sull’acquisto del carburante per finanziare la guerra in Abissinia, mentre è stato l’esecutivo guidato dal premier Monti ad aggiungere l’ultima in termini cronologici nel 2011 col decreto “Salva-Italia”.
Conti alla mano, il costo finale di un litro di benzina in Italia è in media 30 centesimi più alto della media europea (1,487€*), stesso valore delle cosiddette accise “di scopo”, mentre sempre in media per un pieno arriviamo a pagare quasi 19 euro in più.
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Comparando infine i dati sulla ripresa economica con il costo medio dei carburanti in paesi quali il Regno Unito, la Francia e la Germania si nota subito come il minor prezzo si combini con netti segnali di crescita mentre al momento in Italia la tendenza che si registra è totalmente opposta, prezzi alti (in realtà i più alti in Europa) e crescita poco accentuata.
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Divari che rendono la ripresa economica molto più difficile da raggiungere soprattutto in un paese dove il trasporto merci su strada è nettamente più elevato rispetto agli altri partner europei.

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