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Intervista a Paolo Manasse: uscita dalla recessione ad Aprile? Direi improbabile
venerdì 25 gennaio 2013, di
Forexinfo intervista Paolo Manasse, professore di Macroeconomia e Politica Economica Internazionale presso l’Università di Bologna.
Ultimamente abbiamo pubblicato la traduzione del suo interessante articolo scritto in inglese e pubblicato sul sito di analisi economica Voxeu, dal titolo, Eurozone crisis: It ain’t over yet che noi abbiamo riproposto sul nostro sito con La crisi dell’eurozona non è affatto finita. Ecco cosa ci attende.
Qui di seguito l’intervista che abbiamo realizzato con il professore di Bologna.
1) Nel suo articolo, si parla della differenza tra Stati Uniti ed Europa e, anche basandoci sui più recenti dati economici, si può vedere come gli Stati Uniti si trovino ora su una buona strada per il recupero, mentre l’Eurozona ancora no. Se dovesse scegliere solo uno dei tanti motivi che hanno portato a questa disparità, quale citerebbe?
R. Vi sono tanti motivi: il fatto che negli USA, la Fed abbia seguito una politica monetaria decisamente più aggressiva di quella seguita dalla BCE che ha privilegiato il finanziamento delle banche per evitarne l’insolvenza; il fatto che la politica di bilancio dell’amministrazione Obama è stata molto più espansiva di quella seguita dai paesi Europei, che hanno invece introdotto nuovi vincoli per rassicurare il contribuente tedesco; il fatto che i mercato dell lavoro americano sia molto più flessibile di quello europeo, il che ha permesso che gli effetti della crisi non si cronicizzassero.
2) Cosa pensa di un’eventuale rottura dell’euro e un ritorno alle vecchie monete nazionali? Pensa che questa soluzione risolverebbe, almeno in parte, i problemi che ci portiamo dietro da anni?
R. A questo punto una rottura dell’Euro avrebbe costi molto alti. I paesi che uscissero tornando ad una moneta nazionale vedrebbero una fortissima perdita di potere d’acquisto per le famiglie poiché le monete nazionali si svaluterebbero di molto, del 30-50% e l’inflazione salirebbe, erodendo il valore di salari, pensioni e stipendi, i depositi sarebbero riconvertiti forzosamente nelle nuove monete, e dunque ne uscirebbero dimezzati; i governi perderebbero l’accesso ai mercati internazionali e dovrebbero dichiarare la loro insolvenza ristrutturando il debito pubblico e riconvertendolo in moneta nazionale; molte banche fallirebbero perché i loro investimenti in titoli di stato perderebbero valore, mettendo a rischio i depositi dei cittadini, e riducendo ancor più i prestiti alle imprese; con minori consumi e minor credito molte imprese fallirebbero e ci sarebbe una recessione e disoccupazione molto elevata, che potrebbe però essere compensata dall’aumento delle esportazioni dovute alla svalutazione.
3) Proprio in questi giorni, il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, davanti alla commissione Affari economici e finanziari del Parlamento europeo a Bruxelles, ha dichiarato che l’Italia uscirà dalla recessione prima del previsto, addirittura ha parlato di Aprile di quest’anno. In base alle sue analisi, questa eventualità è pressoché impossibile?
R. Direi improbabile. La Banca d’Italia ha appena rivisto le stime per la crescita del PIL 2013 verso il basso, dal -0,2 al -1% questo peggioramento potrà richiedere una manovra aggiuntiva consistente, tra i 5 e i 10 miliardi.
4) Se come da Lei sostenuto, l’attuale risposta politica dell’Eurozona non sta facendo altro che peggiorare la situazione "aggravando anche il peccato originale dell’euro: l’asimmetria", cosa pensa che si potrebbe fare concretamente per rimettere l’Eurozona su un percorso, seppur graduale, di crescita? E soprattutto esiste una via d’uscita?
R. Sarebbero necessarie tante cose: nell’immediato i paesi della zona Euro che hanno situazioni economiche e di bilancio diverse dovrebbero adottare politiche diverse. I paesi con gravi problemi fiscali dovrebbero perseguire il pareggio ma in modo più diluito del tempo, tenendo conto dello stato di recessione dell’economia.
Paesi con debito più contenuto e con bilanci non in rosso dovrebbero perseguire politiche attive di rilancio economiche attraverso la riduzione delle imposte. Tutti i paesi, soprattutto quelli che sono cresciuti poco come l’Italia, dovrebbero adottare politiche drastiche di semplificazione burocratica, e riforme strutturali nel mercato del credito e del lavoro, riducendo il peso degli enti locali nei servizi pubblici locali (energia, trasporti etc).