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Grafico del giorno: per quelli che ’’gli italiani non sanno fare impresa’’…

martedì 5 agosto 2014, di Luca Pezzotta

Tra i vari demeriti e le pessime inclinazioni di cui in questi anni abbiamo sentito (s)parlare con riferimento all’Italia, ai suoi abitanti ed alle loro abitudini economiche e talvolta anche sociali, alcune sarebbero imputabili alla poca flessibilità del mercato del lavoro, in cui sono sempre necessarie delle riforme strutturali, ed alla volontà di avere sempre e solo un posto di lavoro fisso, magari vicino a casa, piuttosto che rimboccarsi le maniche ed essere pronti a “crearselo” il lavoro, magari lasciando anche il paese d’origine, invece che aspettare “qualcun altro” che “piova” dal cielo con un lavoro.

Lasciando perdere la questione relativa al fatto che gli italiani siano più o meno inclini a cercare il lavoro solo vicino a casa, siano bamboccioni o mammoni – come detto da più eminenti Ministri e non solo – che significa generalizzare e, probabilmente, avere poca memoria o cultura storica, visto che la migrazione da sud a nord in cerca di lavoro è un fenomeno secolare e ormai secolarizzato in Italia, che una grossissima parte della popolazione argentina è di origine italiana, che ai tempi del proibizionismo le strade di New York e Chicago erano piene di italiani, che nel dopoguerra sono stati fatti accordi con il Belgio per carbone-forza lavoro e ci sono ancora le immagini di italiani che partivano con la valigia di cartone, ecc. ecc., quello su cui ci si vorrebbe focalizzare è piuttosto proprio la “capacità di rimboccarsi le maniche” facendo impresa da sé e lavorando in modo autonomo invece che con quello che viene definito un impiego con contratto di lavoro subordinato.

Ancora, per quello che riguarda la flessibilità, i dati OCSE confermano che ormai le tutele generali del lavoratore in Italia sono inferiori a quelle di Francia e Germania e che il mercato del lavoro italiano è, pertanto, già più flessibile di quello francese e tedesco. Se il mercato del lavoro italiano è diventato più flessibile le tasse e la burocrazia non hanno fatto la stessa cosa, le prime sono aumentate e così hanno fatto anche gli adempimenti amministrativi richiesti per “fare” impresa. Per cui in Italia è diventato anche più difficile fare impresa, sia dal punto di vista dei costi che della burocrazia. Tenendo conto di quanto fin qui detto cominciamo a prendere la definizione ed i dati OCSE relativamente ai lavoratori autonomi nei paesi e nelle aree sopra menzionate.

La definizione dell’OCSE di lavoro autonomo è come “l’impiego dei datori di lavoro”, ovvero lavoratori che lavorano per sé stessi, membri di cooperative di produttori e lavoratori familiari non retribuiti. In quest’ultimo caso “non pagato” si intende come non retribuito regolarmente ma che partecipa al reddito generato dall’impresa. E sempre la definizione dell’OCSE riporta perché sono proprio i lavoratori autonomi quelli che dovrebbero essere considerati coloro che “sanno fare impresa”: “Self-employment may be seen either as a survival strategy for those who cannot find any other means of earning an income or as evidence of entrepreneurial spirit and a desire to be one’s own boss” - Il lavoro autonomo può essere visto sia come strategia di sopravvivenza per colo che non riescono a trovare qualsiasi altro mezzo per guadagnare un reddito sia come prova di spirito imprenditoriale e del desiderio di essere il proprio capo.

Vediamo allora la percentuale di lavoro autonomo in relazione all’occupazione totale come da grafico OCSE sotto riportato e che l’OCSE invita a citare così: OECD (2014), Self-employment rates (indicator). doi: 10.1787/fb58715e-en (Accessed on 04 August 2014)

Tasso di lavoro autonomo in percentuale dell’occupazione totale 1980-2013

Guardate gli anni ’80, l’Italia (linea viola) arriva anche ad avere il 30% di lavoratori autonomi rispetto al 16,3% della Francia (linea rossa) di inizio anni ’80 e che poi ha un trend quasi in sola diminuzione. E guardate la Germania (linea azzurra), il massimo di lavoro autonomo che riesce a raggiungere nel periodo preso in considerazione è nel 2005 al 12,4% dell’occupazione totale. Anche il Regno Unito (linea arancio) non ha grossissimi risultati, soprattutto dalla seconda metà degli anni ’90. E non va molto meglio nemmeno per la UE dei 27 paesi (linea verde) e per l’euro-area dei 17 paesi (linea gialla) che restano ben al di sotto dell’Italia come “quantità” di lavoro autonomo in percentuale dell’occupazione totale. Infine se pur è vero che anche in Italia il trend del lavoro autonomo è in discesa, rispetto ai livelli degli anni ’80, al 2012 è ancora al 25,1% dell’occupazione totale. Un livello mai raggiunto dagli altri paesi.

È fin troppo facile notare, pertanto, che l’Italia ha sempre avuto, dal 1985 al 2012, una quantità di lavoratori autonomi di molto superiore a quella di tutti gli altri paesi e/o aree prese in considerazione nel grafico; e che questo genere di “figure” è molto importante soprattutto nel commercio e nell’agricoltura ma anche in altri settori. Il grafico sembra quindi non avallare l’idea dell’italiano pigro che aspetta qualcuno che gli dia un lavoro e lo impieghi, ma sembra indichi che “l’italiano” sia invece più propenso a “mettersi in gioco” e lavorare per sé stesso, oppure a “scommettere su sé stesso” che è, più o meno, la stessa cosa. E questa non può essere che la prova di uno spirito imprenditoriale che, sempre avendo il grafico come riferimento, è di molto superiore negli italiani che nel resto dei paesi e nelle aree considerate.

Ovviamente, d’altro lato, la mera quantità di lavoro autonomo non può essere il solo fattore decisivo relativo alla capacità imprenditoriale di un paese, ma può essere almeno un indice sullo spirito imprenditoriale e della capacità, appunto, di “crearsi” il lavoro, di cercarlo, piuttosto che “aspettarlo”, di una parte dei suoi abitanti. Infine, quello che ancora una volta emerge da questi dati è il forte contrasto tra gli stessi e quelli che si vorrebbero far passare come “limiti tutti italiani”. Infatti – si ripete – il grafico dell’OCSE è in controtendenza rispetto a quello che è stato sostenuto in questi anni. E se storicamente il sostenere che gli italiani, per gli esempi sopra riportati, “siano mammoni che cercano il lavoro vicino a casa” è anacronistico, anche dal punto di vista della capacità di fare impresa, nel senso di lavorare autonomamente ed essere imprenditori di sé stessi e/o dal versane del lavoro autonomo, gli italiani non solo non hanno nulla da invidiare al resto dei paesi presi in considerazione ma bensì primeggiano: e per distacco!

Da ultimo è vero che in una economia globale e di scala il lavoro autonomo non è l’unica cosa che conta, ma si prendano il grafico e l’articolo per quello che sono, un’opinione che si cerca di supportare con dei dati, contrapposta a quella di coloro che ancora una volta hanno teso a (s)parlare, senza magari nemmeno cognizione di causa e aver verificato i numeri, della capacità degli italiani d rimboccarsi le maniche, di fare impresa da soli, per sé stessi e creandosi il lavoro quando cercarlo non è sufficiente.

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