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Emoticon ed emoji arrivano in tribunale: valutabili come prove in giudizio

lunedì 25 febbraio 2019, di Isabella Policarpio

Le emoticon e le emoji sono ormai entrate nel linguaggio quotidiano e, di conseguenza, sempre più spesso, i giudici si trovano ad analizzare in giudizio conversazioni contenenti faccine, simboli, animali o altro.

Dietro le emoticon possono nascondersi messaggi di ogni genere: scambio di droga, prostituzione, pianificazioni di furti o rapine, tanto che non di rado gli avvocati mostrano ai giudici le faccine utilizzate dai propri assistiti come prove di accusa o difesa.

Questo fenomeno è stato analizzato da Eric Goldman, docente di legge presso l’Università di Santa Clara, Stati Uniti, che ha rilevato una crescita dell’utilizzo delle emoji in giudizio di circa il 30% rispetto all’anno passato.

Emoticon ed emoji: nuovi elementi di prova

Con l’avvento della tecnologia, smartphone, screenshot, emoticon ed emoji hanno fatto ingresso nelle aule dei tribunali, dove, sempre più spesso, giudici ed avvocati si cimentano nell’interpretazione di messaggi in codice tesi a provare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato.

Il fenomeno è stato analizzato da Eric Goldman, docente universitario di legge all’Università di Santa Clara (Stati Uniti d’America) il quale aveva notato già in passato una sensibile crescita delle emoticon come prove in giudizio.

Lo studio di Goldman ha confermato che dal 2004 ad oggi, i casi in cui le emoticon e le emoji sono entrate nelle aule giudiziarie sono cresciuti di oltre il 30%; in molti casi, inoltre, le emoticon si sono rivelate fondamentali nella risoluzione del caso di specie.

La casistica a disposizione è molto varia, si passa dalle ipotesi di stalking ai furti e, addirittura, anche a casi di omicidio. Per chiarire meglio il loro utilizzo in giudizio, facciamo degli esempi pratici: in un caso riguardante l’accusa di sfruttamento della prostituzione, il giudice di merito aveva attribuito la colpevolezza dell’imputato sulla base di un messaggio in codice che prevedeva l’emoticon della scarpa con il tacco a spillo affiancata dal simbolo del dollaro.

Goldman ha anche evidenziato che in molti casi le conversazioni degli assassini prima dell’omicidio contengono i simboli del coltello o della pistola, cosa che, in alcune circostanze, può rivelarsi anche utile ai fini dell’individuazione dell’arma del delitto.

In un altro caso, una coppia è stata condannata al pagamento del canone di affitto a causa delle emoticon festose inviate al proprietario di casa e da questo interpretate come una forma di accettazione del contratto.

Come intuibile, la difficoltà di questo nuovo mezzo di prova sta nel fatto che non si tratta di un linguaggio universale ma che varia in base agli accordi tra le parti coinvolte nella comunicazione, le quali possono concordare veri e propri messaggi codificati.

Tuttavia, lo studio di Goldman, ha mostrato che, anche quando l’emoticon da sola non basta, il giudice e l’avvocato possono risalire alla ricostruzione dei fatti con l’ausilio degli altri elementi di prova in giudizio.

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