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Economist, Giappone: l’Abenomics funziona, ma qual è il risvolto della medaglia? Due rischi per il Paese

lunedì 20 maggio 2013, di Erika Di Dio

Quando Shinzo Abe si è dimesso dopo solo un anno come primo ministro, nel settembre 2007, è stato deriso dagli elettori e perseguitato dall’inettitudine che è stata la rovina di tanti leader giapponesi degli ultimi tempi. Oggi, neanche cinque mesi dall’inizio del suo secondo mandato, il signor Abe sembra essere un uomo nuovo. Ha posto il Giappone in un regime di "Abenomics", un mix di reflazione, spesa pubblica e strategia di crescita e con la sua salute in ripresa, ha delineato un programma di rebranding geopolitico e cambiamento costituzionale destinato a ridare al Giappone il suo giusto posto come potenza mondiale.

Il signor Abe ha elettrizzato una nazione che aveva perso tutta la sua fiducia nella classe politica. Da quando è stato eletto, il mercato azionario è salito del 55%. La spesa dei consumatori ha spinto la crescita nel primo trimestre ad un annualizzato 3,5%. Abe ha un indice di gradimento di oltre il 70% (rispetto a circa il 30% alla fine del suo primo mandato).

Strappare il Giappone dalla sua crisi è un compito enorme. Dopo due decenni perduti, il PIL nominale del paese è lo stesso del 1991, mentre il Nikkei, anche dopo la recente impennata, è a malapena un terzo del suo picco. La contrazione della forza lavoro giapponese è gravata dal costo di un numero crescente di persone anziane. Le sue società inoltre hanno perso il loro vantaggio innovativo.

Mr. Abe non è il primo politico a promettere di rivitalizzare il suo paese e il suo modello ha ancora tutto da dimostrare. Tuttavia, anche se i suoi piani avranno la metà del successo sperato, lui sarà sicuramente ricordato come un grande primo ministro.

Il nuovo piano del primo ministro

La ragione per pensare che questa volta potrebbe essere diverso è la Cina. Il declino economico ha assunto una nuova realtà in Giappone, quando la Cina ha fatto a gomitate con il Giappone nel 2010 per diventare la seconda economia più grande del mondo. Quando la Cina ha riguadagnato fiducia, ha iniziato a contrastare il Giappone direttamente nella disputa sulle isole Senkaku / Diaoyu. All’inizio di questo mese il People’s Daily (giornale quotidiano della Repubblica Popolare Cinese, n.d.r.), ha anche messo in discussione la sovranità giapponese su Okinawa.

Abe è convinto che sfidare la Cina significa scrollarsi di dosso l’apatia e la passività che hanno tenuto il Giappone in schiavitù per così tanto tempo. Per spiegare la pura ambizione del suo progetto, la sua gente invoca lo slogan Meiji: "arricchire il paese, rafforzare l’esercito". Solo un Giappone ricco può permettersi di difendersi. Solo se potrà difendersi sarà in grado di resistere alla Cina, e, allo stesso modo, evitare di diventare un vassallo del suo principale alleato, gli Stati Uniti. Abenomics, con il suo stimolo fiscale e l’allentamento monetario, appare come una dottrina economica, ma in realtà riguarda anche tanto la sicurezza nazionale.

Forse è per questo che il signor Abe ha governato con tanta urgenza. Nelle prime settimane ha annunciato una spesa pubblica extra del valore di 10.3 trilioni di yen (circa 100 miliardi di dollari). Ha poi nominato un nuovo governatore della Banca of Japan, che ha giurato di pompare sempre più denaro nel sistema finanziario. Se questo porterà ad uno yen più debole, incrementerà anche le esportazioni. Se si bandisce poi lo spettro della deflazione, potrà anche aumentare il consumo. Tuttavia, per modificare il potenziale di lungo periodo dell’economia, il signor Abe deve portare avanti la terza parte strutturale del suo piano. Finora, ha istituito cinque comitati incaricati di incitare profonde riforme dal lato dell’offerta. A febbraio ha sorpreso anche i suoi sostenitori, dichiarando l’intenzione di voler iniziare le trattative per entrare a far parte della Trans-Pacific Partnership, un accordo di libero scambio che include attualmente Stati Uniti, Australia, Brunei, Canada, Cile, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.

Rischi dietro l’angolo

Nessuno potrebbe opporsi ad un Giappone più prospero che sarebbe fonte di domanda globale. Un Giappone patriottico che aveva trasformato le sue "forze di autodifesa" in un esercito permanente, proprio come qualsiasi altro paese si aggiungerebbe alla sicurezza del Nord-Est asiatico. Eppure coloro che ricordano il primo mandato disastroso del signor Abe rimangono con due preoccupazioni.

  • Il pericolo con l’economia è che lui vada sul "leggero", come ha già fatto in precedenza. Già si dice che, se la crescita del secondo trimestre sarà scarsa, egli rinvierà il primo dei due aumenti di consumo delle imposte dovute nel 2014-15 per paura di strangolare la ripresa. Quindi un ritardo lascerebbe il Giappone senza un piano a medio termine per limitare il suo debito e segnalerebbe la mancanza di volontà da parte di Abe ad affrontare scelte difficili.
  • Il pericolo all’estero è che egli intraprenda una linea troppo dura, confondendo l’orgoglio nazionale con un nazionalismo distruttivo. Egli appartiene a una minoranza che vede la tutela post-bellica del Giappone dall’America come un’umiliazione. Inoltre, il signor Abe sembra anche voler più che il semplice prestigio di cui ora l’esercito del Giappone ha bisogno e che merita. Si parla di una revisione delle parti liberali della Costituzione, immutata da quando è stata tramandata dall’America nel 1947; in questo modo Abe rischia di alimentare rivalità regionali, che potrebbero indebolire la crescita economica minacciando il commercio.

Il primo ministro ha ragione nel voler risvegliare il Giappone. Dopo le elezioni, avrà una reale possibilità di farlo. Tuttavia, il modo per ridare forza al Giappone è quello di concentrarsi sul rilancio dell’economia, non finire in una guerra inutile con la Cina.

Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: The Economist

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