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Debito: write off e remissione sono comuni (al contrario di quanto vogliono farci credere)
martedì 13 dicembre 2016, di
Prima di entrare nel merito dell’articolo, ci sia permessa qualche considerazione di “legittimità”. Con il presente non si vuole sostenere che sia auspicabile fare debiti perché questi tanto, poi, in caso, possono essere sottoposti al write off, oppure rimessi, cancellati o perdonati; bensì, si vuole soltanto sostenere che pratiche come quelle del “debt write off” (per alcune istituzioni private), della remissione o del perdono del debito (per gli Stati) non sono così rare, neglette e senza precedenti come, invece, si crede o si vorrebbe far credere.
Ancora: non si vuole sostenere che istituti di credito o grandi società commerciali possano procedere ad una sorta di write off ad libitum dei crediti deteriorati od inesigibili e che, quindi, questi non siano un problema. Il write off è comunque sottoposto a condizioni (se un istituto di credito procede, per esempio, ad un write off con “allowance method”, dovrà aver predisposto un fondo a tal proposito). Inoltre, preme sottolineare che non ci stiamo inventando nulla e che materiale relativo a quanto sosteniamo è di facile reperibilità in rete.
Innanzitutto, il punto di partenza è che gli istituti di credito non considerano mai di riuscire a recuperare tutti i prestiti che hanno erogato; e questo è dimostrato dai principi contabili generalmente accettati (GAAP – generally accepted accounting principles), dove si richiede che gli istituti di credito tengano delle riserve per garantirsi contro i “cattivi” prestiti (crediti inesigibili). Queste riserve vengono chiamate “allowance” (fondo) per i crediti inesigibili. Pertanto, giusto per sottolineare ancora come i crediti inesigibili siano comunque un problema, anche di fronte alla possibilità di un write off, si potrebbe fare l’esempio di un fondo sottodimensionato, in quanto precedentemente sottostimato, rispetto ai crediti successivamente deterioratisi.
Ovviamente, poi, gli istituti di credito preferiscono anche non avere a che fare con il write off, perché il loro portfolio di prestiti è pure una loro attività primaria, nonché una fonte di reddito futuro. Ma quando ci sono prestiti “tossici” e che non possono venire onorati e recuperati, questo si riflette in un dissesto del rendiconto finanziario che potrebbe distogliere risorse da attività più produttive. In questa ipotesi le banche potrebbero utilizzare il write off (o charge-offs) per rimuovere questi prestiti dal bilancio riducendo, così, anche le passività per le imposte. Inoltre, le banche, nonostante il write off, sarebbero comunque autorizzate a cercare di ottenere il pagamento di quel credito oppure a generare entrate da esso (magari vendendolo, a prezzi inferiori, ad altre parti o ad agenzie a ciò preposte).
Il write off può essere attuato in due modi. Il primo metodo viene chiamato metodo diretto (direct write-off method) e prevede il write off quando uno specifico credito diventa inesigibile. Il secondo metodo (allowance method) è quello della allowance, con cui la banca, senza sapere quale sarà il credito specifico che diventerà inesigibile, predispone un fondo per questo genere di crediti. Di poi, nel caso in cui il credito torni ad essere esigibile, o parzialmente esigibile, può essere recuperato e tornare nel bilancio (recovery). Il metodo diretto, pur essendo più semplice, non viene utilizzato perché in molti casi viola il principio della competenza. Infatti se, per es., una società commerciale vende a fine 2015, ma solo ad inizio 2016 “realizza” che quella vendita non sarà pagata, utilizzando il metodo diretto, dedurrebbe spese del periodo precedente contro entrate del periodo corrente.
Pertanto, il metodo utilizzato è principalmente quello della allowance, con la predisposizione di un fondo. Quando un credito diventerà inesigibile il write off avverrà tramite l’intervento di quel fondo appositamente predisposto (allowance – chi volesse approfondire la parte strettamente contabile, veda qui e qui).
Quindi, visto quanto esposto ed il materiale reperibile in rete sull’argomento, sembrerebbe che il write off, pur essendo evitato dagli istituti di credito, che preferiscono comunque utilizzare altre “strategie”, non sia una pratica così sconosciuta o poco percorribile da parte loro o da altre società private. Questo, sottolineando però, ancora una volta, che non si sta sostenendo che i debiti non vadano “onorati” perché “tanto c’è il write off …”: no! Per essere chiari: se una società non riceve il pagamento di un credito, può fare il write off; se non ne riceve nessuno, fallisce. Se un istituto ha dei crediti inesigibili nell’ordine del fondo preposto, cercherà altre strategie, non sarà un’isola felice, ma potrà almeno, anche come extrema ratio, fare il write off; ma se i crediti inesigibili dovessero essere soverchi rispetto al fondo preposto, lo stesso non sarà una soluzione sufficiente. Pertanto e ancora una volta, quello che si vuole far principalmente notare è solo che la pratica del “debt write off” non è tanto sconosciuta quanto appare, non che sia auspicabile o sia una panacea per qualche male.
Di poi, evidenziato che si sta parlando di un argomento che si presta a molte e facili critiche, nonché ad errate interpretazioni, notiamo che quanto finora esposto riguarda il debito tra privati. Mentre per il debito pubblico o nei confronti degli Stati?!
Il debito pubblico equivale a credito privato! È incontrovertibile. E prima ancora che in termini economici, in termini giuridici. Dove c’è una compravendita, come nel caso dei titoli di Stato, c’è sempre un venditore (lo Stato), che prende soldi a prestito e diventa debitore; ma c’è anche sempre un compratore (privato), che presta i soldi e diventa creditore. Dove c’è un debito, pertanto, c’è sempre anche un credito, perché due sono le posizioni che derivano dalla compravendita di un titolo di Stato; ma non è il punto di vista del debito che ci interessa ora.
Ciò che ci preme in questo caso, è dimostrare che, pure relativamente al debito pubblico, quando parliamo di “perdono”, remissione, write off o altro, non stiamo parlando di una pratica “aliena”. E, per questo, più che a siti, link o argomenti tecnici, sembra sufficiente attingere da un breve excursus storico rinvenibile in un articolo del “The Telegrph”, a firma Mehreen Khan e dal titolo “The biggest debt write-offs in the history of the world”, dove vengono riportati i maggiori write off del debito nella storia del mondo. Sembra chiaro come, in questo caso, write off si possa tradurre con “cancellazione”; mentre sopra con write off ci si riferiva anche ad un metodo di contabilizzare un credito inesigibile.
L’articolo in questione – del quale cercheremo di fare un breve riassunto – comincia con la cancellazione del debito recentemente voluta dal governo croato a favore di alcuni suoi cittadini e, partendo da qui, sostiene che anche il “perdono” del debito sovrano non è senza precedenti come si potrebbe pensare.
Infatti, lo stesso articolo, citando uno studio dei due economisti Carmen Reinhart and Ken Rogoff, dal titolo “This Time is Different: Eight Centuries of Financial Folly”, prosegue proprio riportando dei casi storici di ripudio o perdono del debito. È vero che i due economisti in questione sono gli stessi “colti in fallo” nel loro studio relativo alla soglia di debito/PIL che determinerebbe un impedimento per l’economia, ma, qui, si tratta solo di un excursus storico del quale si possono trovare anche altre prove in rete e non solo.
E attenzione, perché si comincia proprio da molto lontano; niente poco di meno che dalla Sacra Bibbia. Invero, fin dal Vecchio Testamento il perdono del debito è una pratica conosciuta. Nella Legge Mosaica si stabilisce che ogni quarantanove anni (sette Sabbath years) c’è l’anno del giubileo (Year of the Jubilee), dove la libertà da servitù e debito viene proclamata per tutto il paese. Inoltre, nel Nuovo Testamento, la preghiera del Signore invita i discepoli a chiedere a Dio: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Dimostrando così - sempre secondo quanto riportato dall’autore del The Telegraph - che i prestiti non erano intesi come un modo per fare soldi ma, bensì, come un metodo per aiutare il prossimo.
L’articolo continua poi citando la distruzione delle tavole di Babilonia. Nel 1729 A.C., il Re di Babilonia Hammurabi perdonò tutti i debiti dei cittadini verso il governo, i suoi alti funzionari e i dignitari. Il giubileo del debito di Hammurabi è solo una parte della lunga cancellazione dei debiti che si sono susseguite in Mesopotamia tra il 2400 a.C. ed il 1400 a.C., con la distruzione delle tavole dove erano rendicontati i debiti stessi.
Un altro momento storico di perdono o remissione del debito fu, per l’Europa, l’estate del 1934. Successivamente alla prima guerra mondiale e alla crisi del ’29, molti paesi europei, come riportato nel grafico sotto, fruirono di una forte riduzione del debito (in percentuale del PIL), tanto che l’unico paese ad “onorare” tutte le sue obbligazioni fu la Finlandia.
1934: un’estate di perdono del debito
Tra gli Stati che fruirono del perdono del debito, nell’estate del 1934, troviamo Francia, Grecia, Italia, Regno Unito, ecc. ecc., mentre non risulta la Germania.
Questo non vuol dire che la Germania non abbia mai fruito di alcuna cancellazione del debito. Infatti, con il "London debt agreement" (Accordo sul debito tenutosi a Londra), del 1953, si abolì tutto il debito estero della Germania. Un perdono del debito, secondo quanto riportato dallo storico Albrecht Ritschl, nell’ordine del 280% del PIL, tra il 1947 ed il 1953. Questo permise alla Germania di tornare sui mercati finanziari e diventare parte del FMI e membro della World Bank.
Pertanto, vediamo che per quanto riguarda il debito degli Stati, a livello di precedenti storici, si trovano sia casi in cui gli Stati hanno perdonato i debiti dei loro cittadini, sia casi in cui è stato perdonato il debito degli Stati stessi. Attenzione! anche in questo caso, non si vuole sostenere che il “perdono” del debito sia “la soluzione”, ma solo far notare come sia un’evenienza che si è già ripetutamente avverata.
Alla luce di questo, paventare un ineluttabile rischio del debito con annessa necessità di (s)vendita del patrimonio dello Stato per adempierne le “scadenze” (per ridurlo o contenerlo, si intende), risulta quasi anacronistico alla luce di altri accordi passati sul debito degli Stati. E lo risulta tanto più in un sistema a banche centrali ed in un periodo di alleggerimento quantitativo, quando la banca centrale ha già nel suo portfolio titoli di Stato.
Infatti, quando la banca centrale compra titoli di Stato, con l’alleggerimento quantitativo (con il QE compra anche altri titoli detti “elegible”, ma ora interessano quelli di Stato), espande il proprio bilancio aumentando sia le attività che le passività. La banca centrale acquista titoli che entrano nel suo portfolio (attività), accreditando riserve (passività) sui conti, presso di lei, delle banche che li vendono. Non dimentichiamo che quando la banca centrale compra titoli di Stato, ovviamente, ne riceve anche il relativo rendimento. A questo punto, però, la banca centrale avrebbe, sempre sul lato delle passività, anche i depositi governativi relativi ai titoli comperati.
Perciò, conoscendo le “prerogative” di una banca centrale (come, per es., la capacità infinita di emettere asset finanziari o poter operare anche con capital ratio negativa), il particolare status (per es., quello di essere una banca per le banche) che la rende differente da una banca commerciale, e, volendo, si potrebbe anche immaginare, per assurdo, invece che un aumento, una diminuzione del sul bilancio. La banca centrale potrebbe diminuire le sue attività per la quantità di titoli di Stato che detiene e, nelle passività, i depositi governativi corrispondenti. Il livello delle riserve, ceteris paribus, resterebbe inalterato, mentre diminuirebbero i depositi governativi. E questo potrebbe avere l’effetto di una sorta di write off per la parte del debito acquistata dalla banca centrale.
Naturalmente anche questa non è “la soluzione”. Infatti, la diminuzione dei depositi governativi potrebbe determinare problemi per i livelli di liquidità richiesti agli stessi Stati; mentre le riserve a disposizione potrebbero mettere ulteriore pressione al ribasso sui tassi di interesse, con il rischio di spingere la deflazione, nonché avere altre conseguenze. Perciò, ancora una volta, quello che si vuole evidenziare, non è una soluzione buona per tutti i casi, ma la possibilità di “trattare” con il problema del debito in modo diverso e da un altro punto di vista rispetto a quello del dover per forza “spennare” il debitore, o del dover “smantellare” uno Stato. Ci sono regole che permettono il write off del debito a istituzioni private; ci sono precedenti storici, anche del XX secolo, in cui il debito è stato perdonato a moltissimi Stati; la banca centrale, nelle moderne economie, potrebbe aiutare nel gestire meglio il problema debito, ed invece?!
Invece, con la scusa del debito come colpa, tanto in voga oggidì, si propongono sempre soluzioni da “autodafé” per l’espiazione di quello che ormai sembra un “peccato naturale dovuto a malvagità” (dimenticando, per es., per i debiti privati, che la maggior parte dei crediti inesigibili è per cifre sopra il milione di euro; cioè non proprio un credito erogato per gli immobili o per i consumi delle famiglie ma, probabilmente, per amici ed amici degli amici). E si arriva, allora, proprio nel solco tracciato dall’inquadrare il debito come colpa e peccato, a proporre la soluzione dei “sacrifici”, di “lacrime e sangue” che, manco a dirlo, sono sempre in capo agli altri.