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Competitività industriale: Italia sempre più a picco. In crescita il divario tra paesi Ue

lunedì 23 dicembre 2013, di Marta Panicucci

L’Italia va sempre più a picco nella classifica della competitività dell’industria europea. Questo, in sintesi, è quello che emerge da uno studio della fondazione Ergo-Mtm, basato su dati Censis e sul rapporto annuale redatto da Bruxelles.

Il rapporto non esita a definire il periodo storico che l’Italia sta passando una "vera e propria de-industrializzazione". Dal 2007, in periodo pre-crisi, a oggi, la produzione industriale italiana ha registrato un crollo del 20%, sebbene la quota di valore aggiunto totale nell’economia del manifatturiero resti "leggermente al di sopra della media Ue".

Anche la Spagna, paese dove la disoccupazione è seconda solo a quella della Grecia, ci ha sorpassato, raggiungendo il gruppo di testa dei paesi Ue più virtuosi guidato dalla Germania.

Secondo gli analisti di Bruxelles a pesare sull’andamento dell’economia italiana l’aumento del salario lordo nominale combinato con zero crescita della produttività. E il risultato, anche sul fronte della competitività in termini di costo del lavoro è drammatica e secondo il rapporto si è erosa in modo considerevole negli ultimi 10 anni. Il trend negativo dell’Italia si registra a fronte, invece, di un netto miglioramento realizzato dalla Spagna, ma anche da Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro.

La situazione Ue

La situazione industriale e il livello di competitività italiana sta toccando livelli preoccupanti, tanto da far parlare di de-industrializzazione del paese. Ma è negativa anche la fotografia che il rapporto che Bruxelles ha fatto di tutta l’eurozona. Secondo la commissione infatti: "non solo non diminuisce, ma continua a crescere il divario di competitività tra i 28, con i paesi competitivi che lo diventano ancora di più, e quelli già indietro sempre più staccati dal gruppo di testa."

In pratica è venuto meno il cosiddetto “processo di convergenza”, per cui gli stati più “virtuosi” trainano gli altri verso un posizione positiva in una dinamica di reciproco vantaggio.

Tra le cause principali del problema identificate dal rapporto:

  • il costo dell’energia, che sta portando alla de-industrializzazione non solo dell’Italia ma dell’intera Ue,
  • la mancanza di investimenti rimasti al palo dallo scoppio della crisi,
  • le difficoltà di accesso al credito,
  • l’inefficienza della pubblica amministrazione.

Quanto costa un’ora di lavoro?

In Italia un’ora di lavoro vale circa 32 euro, ben al di sotto dei quasi 50 euro dell’Irlanda e comunque lontana della media Ue che si attesta sui 37 euro. Il rapporto tempo/valore della produzione dei Paesi Ue è molto diversa e vede l’Italia in una posizione molto arretrata rispetto a molti paesi dell’Unione. Tra questi soprattutto:

  • Irlanda: un’ora di lavoro vale 48,8 euro. Tra 2007 e 2012, la produttività complessiva è cresciuta dell’11,8%, contro una media europea del 2,9%.
  • Danimarca: un’ora di lavoro vale 48 euro. La Danimarca registra anche un rapporto record tra ore lavorative e stipendi medi: 35mila euro per 33 ore a settimana.
  • Francia: un’ora di lavoro vale 46,3 euro. Da segnalare una particolarità: il 35% delle società con più di 10 lavoratori distribuiscono gli utili tra i dipendenti; in Italia siamo al 3%.
  • Olanda: un’ora di lavoro vale 46,1 euro. I Paesi Bassi sono tra i primi nelle classifiche Ocse nel work-life balance vantando 29 ore lavorative settimanali e stipendi medi sopra i 35mila euro.
  • Belgio: un’ora di lavoro vale 45,7 euro.

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