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Austerity vs. Stimolo? Fine della guerra. Ha vinto Paul Krugman

giovedì 25 aprile 2013, di Federica Agostini

Negli ultimi cinque anni è stata combattuta una dura guerra di parole, tanto in America, quanto in altri paesi economicamente in difficoltà.

Da una parte, c’erano economisti e politici che volevano che i governi aumentassero le spese per compensare la debolezza del settore privato. Questo "stimolo", sostenevano gli economisti tra i quali anche Paul Krugman, avrebbe contribuito a ridurre la disoccupazione e promuovere la crescita fintanto che il settore privato stesso si fosse rimesso in sesto e avrebbe cominciato a spendere ancora una volta.

Dall’altro lato della trincea verbale, economisti e politici che intendevano tagliare le spese per ridurre i debiti e "ripristinare la fiducia". Gli stimoli da parte del governo, argomentavano da queste fila, avrebbero aumentato i debiti, tra l’altro già preoccupantemente elevati. Se i governi non avessero tagliato in fretta le spese, avrebbero pericolosamente oltrepassato la soglia mortale del rapporto debito/Pil, compromettendo per sempre la crescita economica. Oltretutto, questi paesi sarebbero stati afflitti dalla iper-inflazione, perché immediatamente gli investitori sul mercato obbligazionario avrebbero iniziato a chiedere rendimenti sempre maggiori. Una volta tagliate le spese da parte del governo, sosteneva la teoria, il debito si sarebbe ridotto e la "fiducia" sarebbe tornata.

Ma il dibattito non si è svolto solo a livello accademico.

Quelli in favore dello stimolo economico hanno ottenuto una breve vittoria nel profondo della crisi finanziaria, con paesi come gli Stati Uniti che hanno implementato i programmi di stimolo. Ma i cosiddetti "Austeri" sono tornati alla carica. Negli ultimi anni, le politiche di governo negli Stati Uniti e in Europa sono state modellate sull’idea che i governi dovessero scegliere se tagliare le spese o rischiare di collassare sotto il peso di debiti inauditi.

Alcune evidenze

Nel corso del dibattito, l’evidenza si è gradualmente accumulata; per quanto ben intenzionati potessero essere, gli "Austeri" si sbagliavano. Il Giappone, ad esempio, ha continuato ad aumentare il proprio rapporto debito/Pil ben oltre la soglia del supposto collasso e i tassi di interesse sono rimasti ostinatamente bassi.

Ancor più degno di nota, in Europa, i paesi che hanno adottato (o sono stati costretti ad adottare) le misure di austerity, come il Regno Unito e la Grecia, si sono imbattuti in recessioni multiple (nel caso della Grecia, depressione). Inoltre, visto che le economie più piccole hanno prodotto meno introiti dalle tasse, il debito di questi paesi è rimasto notevolmente elevato.

Così, l’evidenza empirica ha favorito le idee del premio Nobel Paul Krugman e degli altri economisti e politici che sostenevano che i governi dovessero continuare a spendere aggressivamente fino a quando la salute dell’economia non fosse ripristinata.

Un banale errore di calcolo

E poi, la scorsa settimana, un’allarmante scoperta ha stracciato le premesse sulle quali tutto il movimento dell’austerità poggiava.

Un rapporto accademico ha scoperto che il limite del 90% al rapporto debito/Pil, oltre il quale si riteneva che paesi avrebbero sperimentato fasi di crescita lenta o nulla, era frutto di un errore aritmetico, un banale errore di calcolo.

Una volta corretto l’errore, immediatamente "la soglia del 90% sul rapporto debito/Pil" è scomparsa. Livelli di debito elevati sono ancora correlati con una crescita economica lenta, ma la relazione pericolosa ha smesso di essere nominata. Improvvisamente, non c’è più quel "punto di non ritorno" che i paesi avrebbero dovuto evitare ad ogni costo.

Fine del discorso, ha vinto Paul Krugman.

La scoperta di questo semplice errore matematico ha cancellato uno dei fattori chiave su quale si poggiava tutto il movimento dell’austerità.

Inoltre, a mio avviso, tale scoperta ha messo fine una volta per tutte alla guerra dello "stimolo vs. austerity".

A questo punto, l’unica domanda è se le persone che hanno sostenuto che non c’era altra scelta per i governi se non quella di tagliare le spese, nonostante l’economia fosse ancora debole, saranno forti abbastanza da ammettere l’errore.

Austerity: il caso del sequester USA

La scoperta dell’errore di calcolo, dopotutto, arriva solo pochi mesi dopo il "sequester" volontario dei tagli alle spese governative degli Stati Uniti. Il sequester sta mettendo a dura prova l’economia statunitense, privando tra l’altro i cittadini di alcuni servizi basilari che molte delle economie del "primo mondo" danno per scontati in un paese avanzato. E nonostante il deficit di governo ancora preoccupantemente elevato, non è ancora chiaro che il sequester non si sarebbe dovuto adottare.

Sì, ad un certo punto, il governo americano dovrà mettessi all’opera e trovare un piano a lungo termine che contenga i costi della sanità e quelli militari, che sono i veri distruttori del budget. Ad ogni modo, non stiamo per imbatterci in una crisi immediata, e il piano a lungo termine non dovrà concretizzarsi entro domani.

Ma allo stesso tempo, per il bene del paese, sarebbe carino se il governo tornasse a finanziare i servizi di base.

Attualmente, la disfunzione del governo statunitense non è soltanto economicamente pericolosa, ma anche imbarazzante, deprimente e, soprattutto, basata su di una premessa che si è rivelata totalmente sbagliata.

Traduzione italiana a cura di Federica Agostini

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