Il Cohousing arriva in Italia, ecco cos’è e come funziona

Un modo di abitare nuovo, che pesca dal passato per reinterpretarlo, facendo leva sulle relazioni solidali tra il vicinato ma senza rinunciare al "must" di una casa, l’intimità e l’individualità di ogni nucleo familiare. Parliamo del cohousing, una soluzione ampiamente diffusa nel Nord Europa che da qualche anno sta prendendo sempre più piede anche in Italia, nelle grandi città come nelle aree più rurali. 

Si contano esempi a Milano e Roma, in Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia. Il cohousing non è un vezzo, una scelta di nicchia o ideologica, come può sembrare ad una prima impressione. E’ una pratica di condivisione di spazi abitativi che permette di risparmiare su costi di gestione e servizi. Voce non poco rilevante, se si considerano i salti mortali che gli italiani debbono compiere oggi per potersi garantire un tetto. 

Le abitazioni che si scelgono per fare cohousing sono spesso vecchi edifici, scelti preliminarmente da una community di cohouser - gruppi di persone che decidono di andare a vivere insieme -  che si accordano per riqualificare secondo uno schema preciso: le unità abitative indipendenti vengono affiancate a spazi comuni (lavanderia, sala polivalente, biblioteca, laboratorio per riparazioni, nido, giardino, orto), seguendo - come la scuola scandinava ben insegna - logiche di sostenibilità ambientale e bioarchitettura.

Si presenta, il cohousing, come un progetto aperto e non già realizzato, che però non ha niente di che spartire con un condominio o con l’housing sociale. Logico chiedersi, i prezzi? Si parte dai 1.800 euro al metro quadro, in zone di provincia, per arrivare ai 3 mila euro chiesti nelle aree urbane. Sono compresi i servizi comunitari, ma non l’imposta sul valore aggiunto e le spese notarili. Le cifre, in sè non proprio popolari, si rivalutano sul lungo periodo, tenendo conto del risparmio energetico garantito da investimenti come la geotermia o i pannelli fotovoltaici.