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Totò Riina: lo Stato chiede 2 milioni di euro per il mantenimento in carcere

martedì 8 gennaio 2019, di Isabella Policarpio

Lo Stato italiano ha presentato il conto alla famiglia di Totò Riina per la detenzione in carcere del padrino Corleone: 2 milioni di euro per le spese di mantenimento durante i 24 anni di carcere duro.

La salata cartella esattoriale è stata notificata da Riscossione Sicilia alla moglie del boss mafioso, Ninetta Bagarella, con molte contestazioni: infatti , secondo i familiari di Riina, la richiesta è illegittima perché esiste una norma che esclude espressamente che il rimborso per il mantenimento in carcere passi agli eredi del condannato.

Gli avvocati della famiglia del “padrino”stanno già progettando di fare opposizione alla cartella esattoriale, in quanto ritenuta contraria all’articolo 188 del Codice Penale.

2 milioni di euro per il mantenimento di Riina

L’ufficio Riscossione Sicilia ha notificato una cartella esattoriale dal valore di 2 milioni di euro alla moglie di Totò Riina, recante la richiesta di rimborso per le spese di mantenimento del boss durante la carcerazione. La procedura di recupero del credito è stata attivata, attraverso il Ministero della Giustizia, dal carcere di Parma, ultimo istituto penitenziario in cui il capomafia è stato detenuto ed è in seguito deceduto.

Così la moglie del boss, Ninetta Bagarella, si è vista notificare una cartella esattoriale esorbitante ed ha subito contattato il legale di fiducia.

Dunque, l’avvocato della famiglia Riina, Luca Cianferoni, dopo aver studiato la questione, ha promesso di contestare la cartella esattoriale poiché la legge italiana esclude espressamente che il rimborso delle spese di mantenimento in carcere venga addebitato agli eredi del condannato.

L’articolo 188 del Codice Penale

L’avvocato della famiglia Riina, nel contestare la cartella esattoriale di 2 milioni di euro, ha richiamato l’articolo 188 del Codice Penale, che esclude l’estensione ai familiari del condannato dell’obbligo di pagare all’Erario dello Stato le spese per il mantenimento in carcere. Dunque, la moglie di Totò Riina ed il figlio sarebbero legittimamente esclusi dall’obbligazione di pagamento.

In particolare, l’articolo 188 del Codice penale prevede che il condannato, una volta scarcerato, è obbligato a rimborsare all’Erario dello Stato le spese per il suo mantenimento negli istituti penitenziari; di questa obbligazione egli risponde con tutti i suoi beni, sia mobili che immobili, presenti ed anche futuri.

Al secondo comma, l’articolo di riferimento stabilisce espressamente che tale obbligazione si estenda alla persona civilmente responsabile per il condannato ed ai suoi eredi, come sostenuto dal legale della famiglia Riina.

La carriera criminale di Totò Riina

Totò Riina, noto come il padrino Corleone (suo paese natale) nacque il 16 novembre del 1930 da una famiglia di contadini, ma entrò presto a far parte della criminalità locale. Infatti, dopo l’incontro con il mafioso Luciano Leggio, Riina iniziò a farsi strada all’interno di Cosa Nostra.

La sua permanenza in carcere inizia con la condanna a 12 anni per l’omicidio di un coetaneo durante una rissa; una volta scarcerato il futuro boss continuò a delinquere nella squadra di Leggio fino al 1963, anno in cui tornò nuovamente dietro le sbarre per 3 anni.

Dopo la scarcerazione ebbe inizio la lunga latitanza di Totò Riina, durata 20 anni, nel corso dei quali si dedicò alla sistematica eliminazione dei nemici di Cosa Nostra e delle Istituzioni pubbliche.

Secondo le indagini, il boss di Corleone è stato coinvolto in oltre 100 omicidi che gli sono valsi 26 ergastoli, per un totale di 24 anni di detenzione in regime 41-bis, durante i quali non ha mai mostrato alcun segno di redenzione.

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