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Scandalo sanità: quando anche la disabilità diventa business
lunedì 17 giugno 2013, di
In ogni negozio di articoli sanitari ed elettromedicali potete trovare il “Nomenclatore tariffario per protesi e ausili”, ovvero un elenco di tutto ciò che i disabili possono e devono ottenere dallo Stato. Siamo nell’ambito dei cosiddetti LEA, ovvero livelli essenziali di assistenza, che l’SSN (Servizio Sanitario Nazionale) eroga gratuitamente o previa pagamento di un ticket.
In un’inchiesta il Fatto parla di uno scandalo lungo 14 anni. Perché? Perché dietro il nomenclatore si celano soprusi e anomalie. Ma andiamo con ordine.
Il nomenclatore è stato varato nel 1999, con Rosy Bindi come ministro della Salute. In teoria in maniera provvisoria, in pratica non è mai stato aggiornato, nonostante sia la legge a prevedere un aggiornamento biennale. Il motivo è di facile intuizione.
In una società in costante movimento e progresso tutto è soggetto ad evoluzione, sia i servizi, che i prezzi. Informazioni fondamentali su tre livelli:
- imprenditori che producono;
- fornitori che vendono;
- servizio pubblico che compra.
Secondo Maria Teresa Agati, presidente autorevole del Centro studi e ricerca per persone disabili di Federvarie – Confindustria: l’aggiornamento consentirebbe “un ribasso del 70% per molti ausili”. E allora perché non procedere?
Si può parlare di truffa?
Come funziona il nomenclatore? Ogni articolo è legato a un determinato codice e specifiche caratteristiche. L’utente sceglie e il rivenditore addebita il costo al SSN, segnalando solo il codice e il prezzo, ma non il modello o la marca di quanto acquistato. Poi che succede?
Accade che molti prodotti nel 1999 avevano un prezzo, mentre oggi ne hanno un altro, in alcuni casi nettamente inferiore. Un guadagno per lo Stato? No, perché se l’articolo viene acquistato da un privato ha un costo, se lo acquista una ASL il prezzo può lievitare di due volte e mezzo. E se non si può parlare di truffa…
Soprattutto perché, come sottolinea la Agati:
“Nessuno sa quanto spende lo Stato per la protesica. Questa stima non esiste perché sono dati gestiti separatamente dalle ASL regionali”.
Così le ASL possono elencare cifre e fornitori e i disabili cercano la soluzione più consona alle loro esigenze, sicuramente con estrema difficoltà visto il divario di tempo che le separa dai prodotti disponibili: 1999, ben 14 anni.
L’ex senatore Giuseppe Caforio (Idv), imprenditore pugliese del ramo protesi e ausili, spiega come avviene la truffa:
“Si stila un preventivo: c’è il codice che prevede la protesi ‘x’, alla quale, perché sia funzionale, è necessario aggiungere altri componenti. Immaginiamo che la protesi ‘x’ sia quella standard. Immaginiamo che sia rigida: invece serve che sia pieghevole. Bisogna montare un’articolazione del ginocchio: può costare dai 200 ai 30.000 euro. C’è chi ha preventivato, per la stessa protesi, ben 3 ginocchi, pagati dallo Stato. Ed è chiaro che, in una protesi, ci va un ginocchio solo”.
Caforio aggiunge:
“I prezzi risalgono al 1999 e, di fatto, è come se ragionassimo ancora in lire. È aumentato il costo del lavoro, delle materie prime, dei singoli componenti delle protesi: dal 1999 a oggi, nel mio settore, le spese sono aumentate mentre i guadagni, quando ci paga il servizio pubblico, sono rimasti gli stessi. E quindi è come se lo Stato ci dicesse: se vuoi che la tua azienda resti in piedi, devi truffare”.
Aggiornamento: work in progress
E’ il caso di dirlo, aggiornamento: work in progress. Il Governo Letta ha ignorato la scadenza del decreto dell’ex ministro Renato Balduzzi, approvato nel 2012, che prevedeva un aggiornamento del nomenclatore entro il 31 maggio 2013.
Un caso non isolato. Visto che una situazione analoga si è riproposta quando venne emanato un decreto simile dall’ex ministro Livia Turco (PD) sotto il Governo Prodi, successivamente revocato dal Governo Berlusconi.
La prassi sembra sempre la stessa: il decreto viene emanato puntualmente a fine legislatura, lasciato “in eredità” al Governo successivo che, tuttavia, ignora la scadenza. E si ritorna, sempre, al 1999. Chi ne fa le spese? I disabili, praticamente costretti a tecnologie obsolete.
Parliamo, secondo le stime della Regione Liguria, di 2 milioni 824.000 persone, se consideriamo una totale mancanza di autonomia, cifra che sale a 6 milioni 980.000 persone se parliamo di un’apprezzabile difficoltà.
L’OMS ha precisato quando è possibile parlare di disabilità: “La disabilità è la conseguenza o il risultato di una complessa relazione”, ovvero quella tra la “condizione di salute di un individuo” e “i fattori personali e ambientali in cui vive”.
Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata radicale e presidente onorario dell’associazione Luca Concioni, parla di uno Stato dell’illegalità:
“Il decreto Balduzzi è stato già convertito in legge, teoricamente è in vigore, ma nei fatti, i malati che ricorrono ai LEA e al nomenclatore, devono ancora rifarsi al 1999”.
E aggiunge:
“La figura del disabile è vista come una figura da assistere. Non si comprende che si tratta d’una menomazione fisica, ma non psichica: gli ausili giusti consentono di vivere autonomamente. Consentono un processo di vita indipendente”.
Autonomia significa anche inclusione e capacità, nonché possibilità, di partecipare ad ogni contesto della vita sociale. Quanto tempo ci vorrebbe per aggiornare un tariffario vecchio di 14 anni per regalare un po’ di normalità a quei milioni di disabili che se ne sentono privati? Quando anche la disabilità diventa un business.