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Paul Krugman e la battaglia contro l’austerity: un fallimento dell’intelletto
mercoledì 8 maggio 2013, di
Su Twitter, Paul Krugman ha più di un milione di followers. Non male per un accademico d’economia vincitore di un premio Nobel, con un’importante posizione alla Princeton University ed un seguitissimo blog sul NY Times (The Conscience of a Liberal).
Il seguito di Krugman, tuttavia, è la ricompensa per la dura battaglia condotta contro l’austerity e la convenzionale idea che questa possa essere il principio per il recupero economico.
Dal momento del crash Lehman Brothers sembra che soltanto Paul Krugman, il suo conterraneo e anch’egli premio Nobel, Joseph Stiglitz, insieme al professore di New York, Nouriel Roubini, abbiano combattuto e si siano duramente confrontati con gli "austeriani" tanto a Washington, quanto a Bruxelles.
Oltre quattro anni dopo, l’austerity viene oggi messa in dubbio come mai prima, non ultima causa il fatto che i paesi che abbiano adottato la via della riduzione del deficit hanno letteralmente fallito nel tentativo di ricominciare a crescere.
In questo senso, il blog di Krugman e il suo account Twitter (@NYTimeskrugman) sembrano essere diventati il punto focale degli obiettori all’austerity di tutto il mondo.
Krugman contro l’austerity: una battaglia ancora aperta
Parlando al Guardian per pubblicizzare la seconda edizione del suo noto libro "End This Depression Now", Krugman afferma che la battaglia contro l’austerità andrà avanti fino a quando la politica non si renderà conto che la propria determinatezza a fare affidamento sulla riduzione del debito, altro non è che una "deludente" e cattiva interpretazione delle basi dell’economia. Tuttavia, nonostante l’ostinata critica, l’austerity rimane la posizione principale della maggior parte delle economie occidentali.
La posizione di Krugman è sofisticata e lungimirante (e talvolta sorprende il pensiero liberale). Quando gli viene chiesto se sia preoccupato che le spese possano innescare una serie di bolle finanziarie come quelle che hanno causato il crash e stimolare l’inflazione (troppo denaro e pochi beni), la risposta di Krugman è sprezzante: "Per quanto riguarda il piantare i semi della prossima crisi, teniamo a mente che la leva è ancora in calo, dunque non vedo, a questo punto, quale sia il problema."
Meno austerity, più spese?
Secondo Krugman, temi come l’invecchiamento della popolazione, i costi delle cure mediche, il cambiamento della natura della forza lavoro nell’era digitale e la competitività con i mercati asiatici, sono temi di un’altra epoca.
"Dovremmo spendere di più? La risposta dev’essere sì. Perché? Perché non c’è abbastanza movimento nel mercato del lavoro e gli investimenti devono aumentare. A mio avviso è chiaro che ci sia abbastanza spazio di manovra per aumentare la spesa senza far aumentare l’inflazione."
Ciò che molti non riescono a capire, prosegue poi Krugman, è che la macroeconomia si muove lentamente, molto più di quanto possiamo immaginare. "Si possono leggere articoli accademici degli anni ’30 e rendersi conto che, nonostante il linguaggio arcaico, potrebbero essere stati scritti oggi".
Parlando dal suo ufficio di Princeton, Krugman cita le opere di importanti economisti come Hyman Minsky, Michal Kalecki e John Maynard Keynes. Tutti, dice, dimostrano che Olli Rehn e i vertici di Bruxelles si sbagliano nell’insistere con la promozione dell’austerity.
Perché re-inventare la ruota, dice Krugman, quando la soluzione ai nostri problemi è già insita in teorie sviluppate negli anni Trenta? Minsky, ad esempio, sosteneva che banchieri dovessero semplicemente dimenticare i rischi di un debito troppo elevato e, nell’analisi di Krugman, l’oblio è da sempre una pietra miliare.
"Sono d’accordo con Minsky: la migliore spiegazione della crisi è semplicemente che con il passare del tempo, ognuno -politici compresi- dimenticheranno i rischi. La professione economica, in un certo senso, è parte dello stesso fenomeno.
Cose reali, come la teoria del ciclo economico che considera la recessione come il volontario ritiro della forza lavoro verso il tempo libero, sarebbero state scartate come ovvie ridicolezze alla memoria della Grande Depressione, ma potrebbero tornare una volta che quella memoria sia scomparsa."
Cinque anni dopo lo scoppio della crisi, con la memoria ancora ben viva, dice Krugman, il fallimento dell’austerity è un fallimento dell’intelletto, anche se l’economista respinge l’idea che la Germania o il Regno Unito siano guidati da una classe politica che voglia proteggere i propri interessi a scapito delle persone che dipendono dai servizi pubblici.
Più spese, ma...
Krugman sostiene che i governi debbano iniziare a spendere di più, ad investire per promuovere la crescita, ma allo stesso tempo devono assicurare la popolazione su come verrà investito il denaro, perché gli elettori sono diffidenti nei confronti dei governi che li hanno condotti verso la crisi finanziaria, talvolta considerata anche come un fallimento della politica.
Il denaro verrà ben speso dai governi?
"Alcuni ritengono che lo stimolo fiscale possa creare bolle immobiliari, ma non sono state costruite tante case negli ultimi 5 anni. Altri ritengono che i lavoratori abbiano competenze ormai antiquate, ma la storia insegna che se si creano posti di lavoro, le persone li riempiranno sempre e comunque."
L’aiuto della banca centrale serve?
"Non direi che il quantitative easing (QE) sia stato decisivo. È uno strumento fragile e debole per pensare che possa compensare l’austerity" dice Krugman, sostenendo però che il QE debba continuare e che l’inflazione al 4% o 5% negli Stati Uniti non sia un grave problema.
Tutti con Krugman?
Non del tutto, molti di quanti ritengono che più spese da parte del governo possano rivelarsi un beneficio per la crescita, così come lo furono negli anni ’30, allo stesso tempo oggi vorrebbero maggiori tutele e prudenze. Ma su questo, Krugman rifiuta di collaborare e rimane fermo sulla sua posizione.