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Mercato auto 2015 in crescita: l’Italia torna a comprare
sabato 7 febbraio 2015, di
È un inizio di 2015 decisamente promettente per il mercato delle auto in Italia. A gennaio sono state immatricolate 131.385 vetture, con un balzo in avanti del 10,91% rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
Un segno più che non si vedeva dal 2010, quando l’eccezionale +30,2% fu però legato in massima parte alla campagna di incentivi governativi.
È evidente dunque il carattere positivo del segnale che giunge in questo inizio di 2015 dal mercato.
Gli italiani sono tornati e tornano ad acquistare auto, pur con scelte che denotano un approccio alla mobilità che sta cambiando velocemente rispetto al passato.
L’auto si associa ancora principalmente al possesso privato, ma la quota specifica è in calo dal 68% al 62%, sempre prendendo come paragone il gennaio 2014. Di riflesso, la bilancia si compensa con la crescita degli affari rivolti al noleggio e alla condivisione, rent to drive e buy back (+54%, e 21% di quota del mercato).
Anche le vendite a società si rafforzano, e grazie a un incremento dell’8,4% si ritagliano una fetta della torta pari al 16,5%.
La fluidità della scena è confermata e si riflette nei criteri che orientano l’acquisto.
A differenza del passato, soprattutto pre-crisi, in cui erano le dimensioni, le prestazioni e l’ estetica i criteri principali, negli ultimi anni la clientela ha spostato il focus verso il risparmio, l’economia di esercizio, la praticità di utilizzo.
Spiccano il volo le auto ad alimentazione alternativa: boom per le elettriche, in su di 300 punti, buone anche le performance di GPL (+22,7%) e ibride (+30,1%), la cui presenza si sta sempre più consolidando.
Stabili si mantengono le quote di auto a benzina, diesel e metano, tra i costruttori invece sono i "piccoli" a far la voce grossa, su tutti Seat (+30,7%), Opel, Renault, Ford e Nissan.
Fiat Chrysler Automobiles tiene un buon passo (+11,4%), grazie soprattutto al boom del SUV Renegade; male, malissimo invece MINI e Citroen, mentre per Chevrolet è giusto parlare di un crollo verticale. Il preludio, forse, all’abbandono del mercato europeo.