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Forex: AUD/USD in congestione, ma può perdere un altro 18%
giovedì 11 febbraio 2016, di
Da fine agosto scorso, quando imperversava la crisi dei mercati finanziari globali a seguito della svalutazione dello yuan da parte delle autorità monetarie cinesi, il tasso di cambio tra il dollaro australiano e il dollaro americano si è mosso in un range ben definito, tra area 0,74 e 0,68. La volatilità è stata tutto sommato contenuta e non sono avvenuti particolari rally direzionali. Su base mensile si è così formato un “ledge”, che in analisi tecnica identifica una fase di consolidamento del trend - a seguito di un robusto movimento direzionale – che si caratterizza per la presenza di due massimi e minimi della congestione corrispondenti tra loro (o quasi).
In genere questo pattern grafico tende poi a dare vita a un movimento direzionale a seguito del breakout di uno dei due estremi della congestione. Nella maggior parte dei casi la rottura avviene nella stessa direzione della tendenza primaria (nella fattispecie ribassista). A questo punto, sebbene ora possa sembrare complicato immaginare un tasso di cambio AUD/USD che crolla sotto 0,68, complice la debolezza attuale del biglietto verde, non va escluso che ciò possa avvenire nelle prossime settimane. D’altronde, se si osserva il grafico mensile dell’Aussie, si può notare anche che sotto questo key level non ci sono altri supporti rilevanti.
Dunque, in caso di breakout ribassista del supporto chiave di 0,68, si può ipotizzare un sell-off con target intorno al minimo di ottobre 2008 posto a 0,60. Dai valori correnti vorrebbe dire per l’Aussie un ulteriore deprezzamento del 18%, che andrebbe sommato al -45% degli ultimi tre anni. Un dollaro australiano ancora più debole non dispiacerebbe molto alla Reserve Bank of Australia, in una fase caratterizzata da una forte frenata dell’economia cinese (principale partner commerciale di Sidney). Nonostante la RBA apprezzi già un cambio AUD/USD intorno a 0,70, una caduta verso 0,60 non dovrebbe far preoccupare più di tanto l’istituto di Sidney, che anzi potrebbe beneficiarne sotto forma di una maggiore competitività dell’export rispetto ai concorrenti commerciali asiatici.
