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Fatture per operazioni inesistenti: escluso risarcimento per danno d’immagine del Fisco
mercoledì 28 gennaio 2015, di
L’Agenzia delle Entrate non ha diritto al risarcimento del danno d’immagine causato da un contribuente che abbia posto in essere dei reati tributari, in particolare che abbia emesso o utilizzato fatture per operazioni inesistenti, in quanto tale danno non patrimoniale può essere risarcito soltanto se la condotta delittuosa è stata effettuata da un pubblico dipendente. Con questa tesi la Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5481 del 2014, evita al contribuente il risarcimento del danno patrimoniale nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
Il contenzioso
La questione è emersa a fronte di un tipico caso di frode Iva perpetrata attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture false, ovvero mediante condotte punite dagli artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000. Oltre alla condanna per tali reati, la Corte d’Appello aveva condannato i contribuenti coinvolti nella frode al risarcimento del danno non patrimoniale, in particolare quello d’immagine, all’Agenzia delle Entrate, che si era costituita parte civile nel processo. La questione di legittima posta alla Suprema Corte, riguarda la possibilità, per l’Agenzia delle Entrate di poter chiedere al contribuente il risarcimento del danno patrimoniale subito, per il deterioramento della propria immagine pubblica, a seguito delle azioni di frode perpetuate dal contribuente.
La sentenza della Suprema corte
La Cassazione, con la sua sentenza ha ricordato che la pubblica amministrazione è certamente legittimata a costituirsi parte civile per il risarcimento dei danni derivanti dal compimento di reati, ma come ricordato anche dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 355/2010, sussiste la lesione dell’immagine di un ente pubblico (in questo caso l’Agenzia delle Entrate), ai sensi dell’articolo 17, comma 30-ter, della L. n. 102 del 2009, soltanto quando è un dipendente pubblico a commettere uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione previsti dall’art. 314 e seguenti del codice penale.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, invece, si trattava di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti nell’ambito di finte transazioni commerciali e, quindi, di comportamenti delittuosi posti in essere da imprenditori, ovvero soggetti privati. Ne consegue che, nel caso di specie, il danno d’immagine fatto valere dall’Agenzia delle Entrate non poteva essere ritenuto sussistente. In questo modo, in giudizio di Appello è stato cassato senza rinvio.
In conclusione, i Giudici della Corte hanno ricordato che, comunque, ai fini dell’esistenza del danno, occorre la dimostrazione, anche mediante prova presuntiva, che il comportamento delittuoso abbia causato una perdita di prestigio ed un grave danno dell’immagine pubblica.