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Erich Priebke: la Chiesa può rifiutare i funerali?
martedì 15 ottobre 2013, di
L’11 ottobre a Roma è morto Erich Priebke, capitano delle SS durante la seconda guerra mondiale e boia dell’eccidio delle Fosse Ardeatine dove il 24 marzo 1944 morirono 335 italiani. Una ferita che ancora fa male, nonostante il tempo trascorso.
Il corpo di Erich Priebke, vissuto per ben 100 anni, è rimasto per giorni presso l’obitorio del policlinico Gemelli. Il motivo per cui non è stato ancora celebrato un funerale è, come molti sanno, che nessuno vuole farlo e non si sa dove seppellirlo: nessuno vuole il suo corpo. Neanche l’Argentina, Paese in cui è sepolta la moglie. ll ministro degli esteri dell’ Argentina Hector Timerman
“ha dato ordine di respingere ogni procedura che possa permettere l’ingresso nel paese del corpo del criminale Erich Priebke. Gli argentini non accettano questo tipo di offese alla dignità dell’uomo".
Forte, ma comprensibile, la proposta del presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici:
“Qualora non si trovasse soluzione che venga cremato e le sue ceneri disperse come lo furono quelle dei nostri nonni. Sarebbe cremato da morto e non come il milione di bambini usciti dai forni di cui Priebke all’epoca non ebbe pietà”.
Pare che i funerali vengano celebrati in forma privata oggi alle 17 presso l’istituto Pio X di Albano, appartenente alla confraternita dei padri Lefebvriani, nonostante lo sdegno del sindaco, che tuona: “Ci opporremo” perchè
“Albano è una città molto sensibile per tradizione storica in virtù della medaglia d’argento al valore della Resistenza. Non potremmo permetterlo per rispetto dei caduti, di chi ha combattuto, e delle famiglie che hanno perso parenti nell’eccidio delle Fosse Ardeatine”.
La storia di Erich Priebke
Priebke, nato a Hennigsdorf nel luglio 1913, ha aderito al partito nazionalsocialista tedesco a soli 20 anni, diventando nel corso del tempo capitano delle SS.
Dopo la fine della guerra fuggì in Argentina, a San Carlos de Bariloche.
Estradato in Italia nel novembre 1995, venne rinchiuso nel carcere militare Forte Boccea di Roma, ma la Procura militare ottenne il rinvio a giudizio di Priebke per crimini di guerra.
Egli fu imputato per “concorso in violenza con omicidio continuato in danno di cittadini italiani” per quanto accaduto il 24 marzo 1994. Dopo un lungo processo, nel 1998 fu condannato all’ergastolo dalla Corte d’appello militare, ma a causa dell’età avanzata, aveva 85 anni, gli furono concessi i domiciliari.
11 anni dopo, nel 2009, gli è stato concesso il permesso di uscire "per fare la spesa, andare a messa, in farmacia" e affrontare "indispensabili esigenze di vita".
Il testamento umano e politico
Dopo la sua morte, il legale di Erich Priebke, Paolo Giachini, ha commentato:
"La dignità con cui ha sopportato la sua persecuzione ne fanno un esempio di coraggio, coerenza e lealtà. Il suo ultimo lascito è una intervista scritta e un video, testamento umano e politico”.
Evidentemente di altro parere il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, che, saputo della sua morte, ha dichiarato:
“E’ difficile provare emozione di fronte alla morte di un criminale un soggetto che nell’arco della sua vita, e qui rimane l’amarezza, non ha mai mostrato nessun momento di cedimento e non ha mai confessato i suoi peccati di gioventù. Non si è mai pentito delle azioni criminali, non ha mai avuto pietà per le sue vittime e neanche per i loro familiari. Io personalmente oggi non riesco nè a ridere nè a piangere. Adesso incontrerà le sue vittime, davanti alla giustizia divina”.
Ciò che desta sconcerto è proprio questo, Erich Priebke, che l’ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia) ha definito un “assassino che ha ucciso più persone di un serial killer”, sembra non essersi mai pentito: ha negato l’Olocausto (una “manipolazione delle coscienze” visto che “le nuove generazioni, a cominciare dalla scuola, sono state sottoposte al lavaggio del cervello, ossessionate con storie macabre per assoggettarne la libertà di giudizio”) e l’esistenza di camere a gas, nonché rivendicato con orgoglio di aver “scelto di essere me stesso”:
“La fedeltà al proprio passato è qualche cosa che a che fare con le nostre convinzioni. Si tratta del mio modo di vedere il mondo, i miei ideali e ha a che fare con il senso dell’amor proprio e dell’onore”.
Dopo un secolo di vita ciò che emerga dal suo testamento umano e politico è il ritratto di un uomo freddo e cinico, che non rinnega, tuttavia, le persecuzioni tedesche a danno degli ebrei “quelle vere però, non quelle inventate”. Vi riportiamo alcuni stralci della lettera-testamento di Priebke.
La Chiesa può rifiutare i funerali?
Dopo il no del Vaticano ai funerali di Erich Priebke, “non sono previste esequie per Erich Priebke in una chiesa di Roma”, opinioni discordanti si susseguono su questo punto. La Chiesa può rifiutare i funerali? E’ una questione di diritti?
Diciamo che è una questione di diritto canonico, che se ne occupa in maniera precisa: “A chi si devono concedere o negare le esequie ecclesiastiche”.
Quale sarebbe il metro di giudizio? Ecco cosa disciplina il diritto canonico (Codice di diritto canonico, Libro IV, Parte III, Titolo III, Capitolo II).
Se prima della morte non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie ecclesiastiche:
- quelli che sono notoriamente apostati, eretici, scismatici;
- coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana;
- gli altri peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli.
E’ evidente che gli estremi per negare i funerali al boia Erich Priebke ci sono.
L’arcivescovo Bruno Forte ha commentato:
“La Chiesa annuncia il primato della misericordia di Dio, cui tutti sono affidati, ma celebrare i funerali significherebbe dire che quest’uomo, pur essendo un peccatore, era in comunione con la Chiesa. E questo non avrebbe senso, sarebbe un’ambiguità inammissibile: come si fa a ritenere in comunione con la Chiesa uno che fino all’ultimo ha negato pervicacemente la Shoah? Priebke non voleva essere in comunione nella condanna senza appello, ribadita più volte dalla dottrina, della Shoah come male assoluto, radicale”.