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Crisi in Italia: produttività in costante calo. Cosa ci frena davvero?
lunedì 2 dicembre 2013, di
Traduciamo da Voxeu.org questo articolo di a Gianmarco I.P. Ottaviano e Fadi Hassan che analizzano il fattore produttività rispetto alla stagnazione economica che caratterizza ormai da tempo l’Italia. L’articolo di seguito analizza gli effetti dell’errata allocazione di capitali e forza lavoro sul rallentamento della produttività. È forse colpa della rigidità del lavoro? Tutt’altro, a incidere negativamente sulla produttività in Italia è la pratica di gestione non meritocratica delle imprese, nonché l’arretratezza tecnologica, o quello che viene anche detto digitali divide.
Italia: il paese che disimpara a produrre?
L’Italia è spesso considerata come la bellezza dormiente d’Europa: un paese ricco di talento e di storia, ma in sofferenza a causa di una stagnazione economica di lunga durata. Il reddito pro capite in Italia è in calo dal 1994 ed ha raggiunto l’84% della media EU15 nel 2012. Tuttavia, questo fenomeno è certamente una novità se paragonato ai decenni precedenti. L’Italia è stato uno dei paesi in Europa che più di tutti è cresciuto tra gli anni 70 e gli anni 80, ma tra gli anni 90 e 2000 ha registrato le performance peggiori. Perché è accaduta questa inversione?
La risposta a questa domanda è piuttosto complessa e abbraccia diverse dimensioni socio-economiche. Ciò nondimeno, una delle cause chiave prepotentemente sottolineate dal dibattito pubblico è che il declino dell’Italia è stato determinato dalla perdita di competitività. Il focus sulla competitività è tale che le linee guida per il Bilancio Pubblico del 2014 sottolineano due priorità assolute:
- Rinforzare l’attuale ripresa; e
- Intervenire sui fattori che limitano la competitività.
La produttività in Italia
Queste linee guida non dicono nulla su quello che potrebbe essere il fattore determinante di entrambe le priorità: la crescita della produttività. Il grafico n. 1 mostra la decomposizione dei fattori di crescita per l’Italia negli ultimi 40 anni. La crescita della produttività totale dei fattori (TFP, Total factor productivity) è stata in contrazione nei decenni, fino ad arrivare in zona negativa negli anni 2000. Poiché la TFP misura quanto efficientemente vengano utilizzati capitali e lavoro, il fatto che si trovi in zona negativa segnala una riduzione senza precedenti nella capacità dell’Italia di trasformare le risorse produttive in valore aggiunto.
| Grafico 1 - Italia: il contributo alla crescita del valore aggiunto |
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Le dinamiche TFP nel settore manifatturiero sono altamente emblematiche del declino Italiano. Il grafico 2 mostra un drammatico rallentamento nella crescita della TFP in Italia dalla metà degli anni Novanta rispetto a Francia e Germania:
| Grafico 2 - TFP e produttività del lavoro in paesi selezionati, 1970-2010 |
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Errata allocazione delle risorse
Un altro messaggio contenuto nel grafico 2 è che l’inventario di capitale e forza lavoro hanno continuato a crescere. Così, la stagnazione Italiana dev’essere stata originata dall’errata allocazione di questi elementi. Infatti, come mostra il grafico 3, dal 1995 al 2006 l’Italia ha investito di più in quei settori dalla minore crescita TFP, laddove è successo l’esatto contrario in Germania. Questa è la prova prima facie dell’errata allocazione delle risorse durante il periodo di riferimento.
Ulteriori prove dell’errata allocazione delle risorse possono essere ottenute combinando i dati TFP con quelli sui prestiti privati per settori dell’attività economica, così come rilevati dalla Banca d’Italia. Questo esame prova sostanzialmente che non v’è correlazione tra la crescita dei prestiti e quella della TFP tra i diversi settori nel periodo compreso tra il 1999 e il 2007 (il coefficiente di correlazione a livello settoriale a due cifre è 0,07).
| Grafico 3 - Investimenti e crescita TFP, Italia vs. Germania (1995-2006) |
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Quanto può costare questo errore di allocazione? Un tentativo di risposta può essere fornito prendendo a modello il settore manifatturiero ed applicando la procedura standard Olley e Pakes (1996) ai dati delle aziende secondo Bartlesman, Haltiwanger, e Scarpetta (2009). Questo ci dimostra che in Italia l’indice TFP manifatturiero risulta inferiore del 5.77% se le risorse vengono allocate in maniera casuale tra le imprese. In altre parole, prendendo il capitale e la forza lavoro dalle aziende per poi ricollocarlo in maniera casuale, la produttività del settore manifatturiero aumenterebbe di circa il 6%. Questa è una prova ulteriore del grande errore di allocazione delle risorse.
Perché non si tratta della rigidità del mercato del lavoro?
Una spiegazione molto popolare dell’errata allocazione è la rigidità del mercato del lavoro. L’idea è che un mercato del lavoro rigido influenzi la produttività ostacolando la riallocazione della forza lavoro verso aziende e settori più produttivi. Ad ogni modo, si tratta di una dimensione sulla quale l’Italia è intervenuta in maniera sostanziale negli ultimi 20 anni. Secondo l’OCSE, la rigidità del mercato del lavoro in Italia è andata diminuendo dalla metà degli anni ’90 (esattamente quando la TFP ha iniziato a stagnare) ed è oggi anche inferiore rispetto alla Francia e alla Germania (grafico 4). Di conseguenza, questo aspetto ha scarse possibilità di essere la causa determinante del rallentamento produttivo presentato prima.
| Grafico 4 - Severità della protezione del lavoro |
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Gestione inadeguata e digital divide
C’è un generale consenso riguardo al fatto che l’intensità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) sia uno dei principali driver dell’accelerazione produttiva che hanno vissuto gli Stati Uniti rispetto all’Europa dalla metà degli anni Novanta (ad esempio in van Ark, O’Mahony, and Timmer 2008). In questo modo, una ragione alternativa che spieghi perché l’Italia abbia vissuto negli stessi anni una battuta d’arresto potrebbe essere limitata alla penetrazione delle TIC. Il grafico 5 riporta il grado di investimento in TIC rispetto al totale degli investimenti in Italia, Francia e Germania per gli anni disponibili. I dati mostrano chiaramente che dalla metà degli anni Novanta l’Italia ha smesso di seguire il passo delle altre nazioni.
| Grafico 5: Percentuale di investimenti TIC in capitale fisso non residenziale |
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Perché questo sia accaduto non è ancora chiaro. Una ragione plausibile è la capacità della classe dirigente di adattarsi alla new economy. Ad esempio, Bloom, Sadun, e Van Reenen (2012) dimostrano che le pratiche manageriali influiscono in maniera evidente sulla penetrazione e l’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Un fenomeno particolarmente vero ad esempio nelle pratiche relative alla gestione delle risorse umane.
Il grafico 6 sintetizza la probabilità di selezionare casualmente un’azienda a qualsiasi livello di intensità TIC così come misurata dal numero di computer per impiegato. Il grafico dimostra che la probabilità di selezionare un’azienda italiana con scarsa intensità TIC è più alta che in Francia, dove la stessa probabilità è più alta che in Germania. Viceversa, la probabilità di selezionare un’azienda con maggiore intensità TIC è più bassa in Italia che in Francia e minore in Francia che in Germania.
| Grafico 6 - Computer per impiegato, densità e distribuzione a livello aziendale |
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Il grafico 7 si riferisce a ciò che Bloom, Sadun, e Van Reenen (2012) chiamano i "punti zeta", immortalando la qualità della gestione delle pratiche dalla prospettiva della classe dirigente, come ad esempio la gestione del capitale umano, il riconoscimento delle performance migliori e la rimozione delle performance scarse. Il grafico mostra che l’Italia ha punti zeta inferiori a causa di alcuni fattori:
- Le aziende italiane promuovono i dipendenti per anzianità, piuttosto che identificando e promuovendo per merito i migliori impiegati.
- I manager tendono a retribuire equamente le performance lavorative a scapito del livello, piuttosto che fornire target legati alle performance e all’affidabilità.
- I dipendenti meno produttivi vengono raramente rimossi dalle loro posizioni.
- I senior manager piuttosto che essere valutati sulla base del bacino di talento che hanno attivamente costruito, sembrano piuttosto poco orientati ad attrarre e formare nuovi talenti.
| Grafico 7 - Pratiche di gestione del personale, densità di distribuzione a livello aziendale |
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Le pratiche di gestione che le aziende italiane sbagliano sono precisamente quelle che Bloom, Sadun, e Van Reenen (2012) hanno dimostrato essere d’ostacolo alla penetrazione e lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Se combiniamo questo dato con il ruolo predominante che le TIC hanno avuto sulla crescita della produttività negli ultimi 20 anni, arriveremo ad una spiegazione rilevante che spieghi la stagnazione italiana. Ridurre la rigidità del mercato del lavoro non è sufficiente alla luce di pratiche di gestione non meritocratiche. Sembra che l’Italia stia disimparando a produrre perché non è in grado di adattare in maniera congrua i processi.
| Traduzione a cura di Federica Agostini |
Fonte: VoxEu - Productivity in Italy: The great unlearning |
