Home > Altro > Archivio > Austerità: il programma di Hollande e della sinistra francese
Austerità: il programma di Hollande e della sinistra francese
domenica 25 novembre 2012, di
Riportiamo qui un interessante contributo scritto da Meri Lucii, già insegnante di economia presso la scuola superiore e Federica Roà, consulente presso l’ISMO di Milano, pubblicato nell’ebook uscito con la rivista Micromega online dal titolo Oltre l’austerità.
Il programma di Hollande e della sinistra francese
François Hollande è stato eletto presidente della Repubblica francese promettendo il rientro dal deficit pubblico (ora al 5,2% del PIL) e la stabilizzazione del debito (ora al 90% del PIL) a condizione che in Europa si decidano politiche economiche per la crescita (che ora in Francia è al 0,3% del PIL).
Le sorti del piano di rientro dal deficit di Hollande, infatti, dipendono da una ripresa dell’economia francese relativamente robusta: nel programma si considera possibile l’azzeramento del deficit in 5 anni in presenza di una crescita annua superiore in media al 2%. Legando il necessario risanamento delle finanze pubbliche alla crescita economica, Hollande mette di fatto in discussione l’applicazione in Francia dell’ultima versione del “Patto di stabilità e crescita” con la quale si inaspriscono le politiche di austerità che hanno contraddistinto l’attuazione del Patto fin dalla sua costituzione (Amsterdam, 1997).
La parola “crescita”, che fu aggiunta su richiesta del governo Jospin appena insediato e fu l’unica modifica che esso riuscì ad ottenere ad Amsterdam nel 1997, non ha fin qui trovato alcuna concreta attuazione. La presa di posizione di Hollande è stata accolta da più parti con interesse e speranza ed in effetti essa rappresenta una novità nel clima di generale acquiescenza alle politiche di austerità dettate dalle istituzioni europee. Ci chiediamo se a questa apertura faccia riscontro, nel programma di Hollande, un distacco dall’ideologia del liberismo cui si sono ispirate negli ultimi decenni le politiche economiche dei governi europei, anche quando guidati da forze riformiste e social-democratiche.
Una ripresa dipendente dagli Eurobond
Un piano che rompa con il liberismo dovrebbe avere al suo centro il rilancio dell’occupazione e quindi, particolarmente in questa fase di depressione della domanda interna e internazionale, l’espansione della spesa pubblica, sopratutto per investimenti.
Hollande insiste di fatto sulla necessità di aumentare l’occupazione (il tasso di disoccupazione in Francia sfiora il 10%) e nel programma fa anche riferimento alla necessità di espandere gli investimenti pubblici e stimolare quelli privati. Per fare ciò, Hollande potrebbe contare, in primo luogo, su risorse che potrebbero rendersi disponibili sia attraverso la leva fiscale (per via di un’importante riforma fiscale a carico dei redditi medio-alti, degli utili delle grandi imprese - bancarie e petrolifere innanzitutto -, dei grandi patrimoni, delle rendite finanziarie) sia attraverso un migliore impiego della spesa pubblica (razionalizzazione, eliminazione degli sprechi, aumenti di produttività).
Alcuni investimenti promessi nel programma come, ad esempio, il rinnovamento di 600.000 alloggi popolari all’anno, potrebbero quindi trovare il finanziamento necessario senza aumentare il deficit. La parte davvero consistente degli interventi pubblici, quella che dovrebbe fungere da volano per lanciare la reindustrializzazione e la riconversione energetica della Francia (e rilanciare così la crescita oltre il 2% consentendo l’azzeramento del deficit nei tempi previsti) dipenderebbe però da finanziamenti europei (Eurobonds o strumenti analoghi).
In realtà, quindi, la possibilità di avviare in Francia una politica economica veramente espansiva dipenderebbe molto da Bruxelles e poco da Parigi e ciò rappresenta un punto di debolezza di non poco conto. Tuttavia, il programma di Hollande, sottolineando la necessità dell’intervento pubblico per stimolare l’economia e per questa via uscire dalla crisi (anche, ad esempio, attraverso l’istituzione di una banca pubblica che convogli il risparmio popolare verso investimenti nelle PMI e nelle nuove imprese) segna un cambio di direzione nell’orientamento delle politiche economiche fin qui messe in atto in Francia e in Europa e questo cambio di direzione trova conferma anche in altri punti del progetto.
Ad esempio, per quanto riguarda il settore pubblico e in controtendenza rispetto all’orientamento prevalente in Europa, Hollande promette di assumere 60,000 funzionari, in gran parte insegnanti. Più in generale, Hollande promette di preservare il ruolo dell’amministrazione pubblica e di difendere la spesa sociale che contribuisce “all’indispensabile solidarietà nazionale”. Nel suo programma vi è anche chiara l’intenzione di difendere il potere di acquisto dei redditi medio-bassi - vedi il rifiuto di ricorrere a “facili” aumenti della TVA, l’IVA francese per recuperare risorse -; coerente con quella intenzione è anche una concezione della competitività che punta sull’impulso alla ricerca, all’innovazione e alla formazione e rompe con l’abitudine a considerare il contenimento dei salari come il principale motore della competitività.
L’intenzione di ricusare la concorrenza al ribasso tra lavoratori è d’altra parte implicita nel proposito espresso nel programma di “chiedere ai partner commerciali di rispettare le stesse regole in materia sociale”. In conclusione, se Hollande dovesse riuscire nella non facile riforma fiscale, egli potrebbe contare su risorse per migliorare la situazione economica della Francia, innanzitutto l’occupazione, senza aumentare il deficit.
Per mantenere anche l’impegno della riduzione del deficit e, a maggior ragione, del debito, Hollande ha però bisogno di lanciare un piano di interventi ben più robusto, il quale dipende in modo determinante da Bruxelles. Se Bruxelles confermasse le attuali posizioni, i.e. la messa a disposizione di un fondo per la crescita di 120 miliardi di euro, decisamente inadeguato data la gravità della situazione, da dividere tra i 17 paesi dell’unione e vincolata al rispetto del fiscal compact, Hollande potrebbe tenere fede al suo programma di stimolo dell’economia e di difesa delle classi più colpite dalla crisi solo rompendo, in qualche modo, con l’Europa.
Le posizioni del Front de Gauche
A proposito di questo possibile impasse, può essere interessante prendere nota delle posizioni del Front de Gauche, una coalizione di partiti di sinistra che si è presentata alle elezioni presidenziali francesi con un programma preparato da economisti critici. Il programma contiene anche alcune proposte audaci per scuotere Bruxelles – vedi il richiamo alla clausola, nota come il “Compromesso di Lussemburgo”, che consente al paese che vi si appella di rimettere in discussione accordi sovranazionali e la proposta di “disobbedire” alla BCE al fine di ristabilire un controllo sul finanziamento pubblico senza l’obbligo di passare attraverso i mercati (si tratterebbe, in breve, di far fare alla Banca di Francia, che ne ha tutti gli strumenti tecnici, quello che la BCE non può fare – ad esempio prestare al Tesoro francese al tasso del 1% -).
Secondo i proponenti di questo “piano d’attacco”, se altri governi che stanno trovando i vincoli europei insostenibili a causa del loro alto costo sociale dovessero seguire l’esempio della Francia, allargando così il fronte della contestazione, si aprirebbero diversi scenari possibili che sono ampiamente dibattuti e che vanno dalla rifondazione dell’Euro, alla creazione di un “Eurosud”, fino alla creazione di una nuova moneta comune (un nuovo SME) questa volta ispirata a quanto proposto da Keynes e Schumacher nel 1944 (con riferimento, in particolare, a una clausola di penalizzazione anche per i paesi con surplus strutturali nelle esportazioni per spingerli al gioco cooperativo mirato all’equilibrio degli scambi e alla convergenza verso l’alto delle economie, dei salari, delle protezioni sociali).
Riuscirà la Francia di Hollande a disubbidire a Bruxelles?
La domanda non è retorica; la coscienza di essere cittadini e quindi proprietari di sovranità politica in Francia è senso comune e in quel paese, più che altrove, vi è la capacità di superare il particolare e trovare l’interesse comune in nome del quale combattere accanite battaglie.
Anche il ruolo degli intellettuali come elaboratori delle domande che vengono dalla base in Francia è più vivo che altrove. Non a caso in Europa la Francia è comunemente ritenuta un’ “eccezione”. Di questa “eccezione francese” è stato un esempio significativo il referendum del 2005 sul Trattato della costituzione europea. Il testo del Trattato fu allora sezionato articolo per articolo per opera di semplici militanti che così riuscirono a rendere chiaro a un vasto pubblico che cosa poteva significare in concreto elevare politiche economiche liberiste al rango di norma costituzionale.
Questo movimento dal basso e la spaccatura che si verificò nel Partito Socialista tra sostenitori e gli oppositori del “sì” al Trattato costrinse il paese a un vasto dibattito pubblico su un tema ostico, sul quale era stata data per scontata l’approvazione popolare. Il 29 maggio 2005, il 55% dei francesi si pronunciò per il “no” al Trattato e, tra di essi, sette membri del governo socialista attualmente in carica.