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Ucraina, Crimea come Cecoslovacchia e Kosovo. I due antefatti che potrebbero dare ragione a Putin
lunedì 5 maggio 2014, di
L’Ucraina continua ad essere al centro delle cronache mondiali. Non c’è giorno in cui non si leggano su qualche giornale parole come “la tensione sale”, “nuove sanzioni”, “rischio guerra civile”, ecc. ecc.
Gli ultimi aggiornamenti arrivano da Odessa, dove ieri sera i separatisti filo-russi hanno liberato 67 persone arrestate dalla polizia di Kiev. Nel frattempo arrivano i rinforzi dalla capitale, ma gli scontri non accennano a placarsi.
Commentare i fatti diventa sempre più complicato. Difficile comprendere cosa stia succedendo se non si conosce la storia delle due Nazioni interessate: Russia e Ucraina. Paesi oggi diversi eppure legati a doppio filo da un passato che forse passato non è e che irrompe in maniera dirompente nel presente scatenando il caos.
Mosca non si ferma, Kiev non si ferma, neppure Unione Europea e Stati Uniti si fermano, imponendo sanzioni su sanzioni nel tentativo di spaventare e bloccare le ingerenze di Putin.
Quest’ultimo però non ha intenzione di rinunciare. Dalla sua parte il Presidente russo ha due riferimenti storici forti, importanti, che potrebbero legittimare la sua azione e spingerlo a continuare.
A ben guardare infatti, ciò che sta succedendo oggi in Ucraina ricorda due vicende rimaste nella memoria di molti popoli. L’invasione della Cecoslovacchia da parte della Germania nazista e l’indipendenza del Kosovo del 2008.
In entrambi i casi la diplomazia internazionale si è dimostrata incerta, traballante, lenta, contraddittoria. Due antefatti che costituiscono motivo d’imbarazzo, tanto per l’Italia, in prima linea in entrambi i casi, quanto per i vari Paesi coinvolti poiché rappresentano due precedenti che potrebbero minare l’odierno equilibrio globale.
Cecoslovacchia
Era il settembre del 1938 quando a Monaco si tenne l’omonima conferenza tra i capi di Governo di Regno Unito, Francia, Germania e Italia per cercare di districare la pericolosa situazione che si stava verificando sulla porzione di territorio cecoslovacco abitata di Sudeti.
La regione, situata al confine tra Austria e Germania, era abitata prevalentemente da una popolazione di etnia e lingua tedesca ed era entrata a far parte del progetto di Hitler di annettere al Reich tutti i territori germanofoni. Tanto più che, dopo l’accorpamento dell’Austria, era diventata una zona strategica che avrebbe permesso ai nazisti di espandersi nei territori slavi e di collegare tutti i domini del regime.
Dopo giorni e giorni di trattative, il 29 settembre fu firmato a Monaco un accordo tra le parti che, de facto, sanciva la vittoria del Führer e il passaggio della regione dei Sudeti alla Germania. Il motivo per il quale gli Stati occidentali, spinti soprattutto da Mussolini, decisero di accettare questa concessione era quello di evitare uno scontro armato e di portare avanti la cosiddetta dottrina della “peacement”.
Quello che successe di lì a poco è cosa nota: Hitler non si accontentò dei Sudeti e decise di occupare l’intera Cecoslovacchia. Poco tempo dopo sarebbe toccato alla Polonia. Ma Regno Unito e Francia non potevano più permettersi di “trattare”. Scoppiò la seconda guerra mondiale.
La conferenza di Monaco rappresenta nella memoria storica degli Stati coinvolti una macchia indelebile e un motivo di vergogna. Non si doveva concedere a Hitler la Cecoslovacchia, non si doveva cercare un accordo con quello che sarebbe poi diventato il nemico numero uno della pace mondiale.
Non vogliamo assolutamente paragonare Vladimir Putin al leader del Reich, né tanto meno la Russia di oggi alla Germania di ieri, ma il principio base seguito dalle Nazioni in conflitto sembra essere una diretta conseguenza della conferenza del 1938: una sola concessione potrebbe portare velocemente a un’escalation di annessioni e al crollo della peacement nata in seguito alla fine della guerra fredda.
Kosovo
La seconda contraddizione storica che potrebbe, per certi versi, legittimare le volontà indipendentiste dei territori filo-russi appartenenti all’Ucraina e gli interventi di Vladimir Putin è rappresentata dal Kosovo.
Alla fine degli anni 90 sostenemmo che la Serbia stava mettendo in atto nei territori kosovari una vera e propria pulizia etnica, motivo che ci spinse ad impegnarci in una lunga e sanguinosa guerra. Poco dopo arrivò anche l’approvazione dell’ONU che però, dopo aver posto il territorio sotto il protettorato internazionale di UNMIK e NATO, chiarì che la regione era e doveva restare parte dello Stato serbo.
Il 17 ottobre 2008 il Kosovo dichiarò unilateralmente la propria indipendenza. Il suo status è oggi oggetto di interpretazioni contraddittorie. Se infatti 108 dei 193 paesi dell’ONU (tra cui l’Italia) lo riconoscono come Stato, altri 51 (tra essi Russia e Cina) non riconoscono la sua separazione dalla Serbia.
Nel 2010 la Corte Internazionale di Giustizia ha sancito che la dichiarazione d’indipendenza kosovara non ha violato il diritto internazionale generale, né la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
A ben vedere, e tenendo in considerazione le dovute differenze, quello che vorrebbe fare oggi la Crimea ricalca le vicende accadute in Kosovo 6 anni fa. Il via libera dell’ONU arrivato quattro anni fa d’altra parte, legittima il sostegno di Putin all’annessione della Regione alla Russia e dà ai filo-russi dei riferimenti recenti e importanti.
Cosa avverrà in Ucraina attualmente sembra difficile da prevedere. Troppi gli interessi in gioco, tanto da perdere da parte di tutti e ad oggi non appare chiaro neanche chi e cosa ci sarebbe da guadagnare da tutta questa situazione. Trovare dei colpevoli, da una parte o dall’altra sembra un errore, schierarsi idem. La cosa sicura però è una sola: il passato continua a condizionare il presente.