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Tagliare i salari? Quelli italiani sono già tra i più bassi dell’Eurozona
lunedì 18 agosto 2014, di
Il Fatto Quotidiano ha pubblicato in data 17 agosto 2014 un’intervista all’ex Rettore della Bocconi Guido Tabellini il cui titolo era abbastanza eloquente e perentorio per quanto riguarda le soluzioni all’attuale crisi economica prospettate dall’ex Rettore stesso: “Non c’è altra via: giù salari e tasse alle imprese”.
Senza entrare dettagliatamente nell’articolo, che ha comunque delle parti condivisibili come, per esempio, il giudizio sul fatto il che il rapporto del 3% tra deficit/PIL penalizza la periferia e che è meglio uscire dall’euro che ristrutturare il debito, ci limitiamo a riportare che le “leve” principalmente prospettate per rilanciare l’economia sarebbero le esportazioni ed il taglio dei salari.
La questione esportazioni non sarà oggetto del presente articolo per cui ci si limita a considerare che il nostro problema è essenzialmente di domanda e cercare di aumentare l’export tramite il taglio dei salari - pur essendo soluzione dai più ritenuta sobria e ragionevole - è una soluzione che riguarda il lato dell’offerta; cioè si cerca di ridurre i costi per offrire un prodotto ad un prezzo migliore. Così, di primo acchito, si sta cercando di risolvere un problema dal lato della domanda con una misura dal lato dell’offerta, che non è né più né meno che la svalutazione del lavoro. Inoltre questo rilancia principalmente la domanda estera, ma non la domanda interna che è quella che fondamentalmente “latita”.
Infatti, non sono i consumatori stranieri che non hanno soldi per “comperare” (anche se la crisi ora è arrivata un po’ ovunque), cosa che sembra testimoniata abbastanza chiaramente oltre che dal calo più marcato dei consumi delle famiglie italiane anche dalle continue acquisizioni di aziende italiane da parte di stranieri dall’inizio della crisi, bensì i consumatori italiani. Senza entrare in ulteriori dettagli per quello che riguarda le esportazioni - impossibile da trattare in modo completo in un semplice e solo articolo - che difficilmente potrebbero sole risollevare l’economia (come specificato anche nell’articolo intervista) e sorvolando sul fatto di considerare se la vera ricchezza siano i beni reali che vengono prodotti oppure i surplus commerciali, cerchiamo di valutare la soluzione proposta che sembra la panacea di tutti i mali: il taglio dei salari!
Per valutare la soluzione del taglio dei salari sembra ovvio, oltre che di dovere, valutare l’andamento degli stessi, ed in particolare di quelli che sono definiti “salari medi” dalla fonte dei dati da cui attingeremo che è l’OCSE, dal 1990 al 2012 per l’Italia e gli arcinoti altri PIIGS e, sempre per avere altri termini di riferimento, con alcuni paesi del nord Europa ed infine con Francia, Germania e Regno Unito. Per prima cosa, quindi, traduciamo la definizione di salari medi così come data dall’OCSE: “I salari medi sono ottenuti dividendo la massa salariale basata sui conti nazionali per la media dei lavoratori impiegati nel totale dell’economia e moltiplicandolo per il rapporto tra la media settimanale delle ore normalmente lavorate da un dipendente a tempo pieno e la media settimanale di ore normalmente lavorate per tutti i dipendenti. Questo indicatore è misurato in dollari USA utilizzando prezzi costanti con anno base 2012 e Parità di Potere d’Acquisto (PPA) per il consumo privato dello stesso anno”. Dopodiché prendiamo tre grafici sempre dell’OCSE in cui si riportano: nel primo i salari medi dei paesi conosciuti come PIIGS, nel secondo i salari medi in Italia ed in alcuni paesi del nord Europa ed infine, nel terzo grafico, quelli dell’Italia con quelli di Germania, Francia e Regno Unito.
Salari medi in dollari americani dal 1990 al 2012 per Portogallo (linea arancio), Italia (linea viola), Irlanda (linea azzurra), Grecia (linea rossa) e Spagna (linea verde) e che l’OCSE ci invita a citare come: OECD (2014), Average wages (indicator). doi: 10.1787/cc3e1387-en (Accessed on 18 August 2014).
È facile notare che i salari medi più bassi sono quelli di Portogallo e Grecia, i primi a poco più di 23 mila dollari annui ed i secondi a poco più di 26 mila, dopodiché abbiamo l’Italia a poco meno di 33,8 mila dollari, tra il 2008 ed il 2009 superata anche dalla Spagna (34,5 mila dollari), mentre i salari medi più elevati si registrano in Irlanda con più di 51 mila dollari l’anno. Non sembra, pertanto da questo grafico che l’Italia abbia salari così spropositati da dover essere tagliati, visto che la media dei salari italiani è più bassa della media dei salari spagnoli e molto più bassa di quelli irlandesi le cui economia sono, come PIL, di molto inferiori a quella dell’Italia; e se un problema ci fosse, potrebbe tutt’al più essere in Irlanda, dove dopo la seconda metà degli anni ’90 e con l’introduzione dell’euro i salari medi hanno avuto una crescita molto elevata.
Vediamo ora la media salari dell’Italia (linea verde) e di alcuni “paesi nordici”, Belgio (linea azzurra), Olanda (linea gialla), Austria (linea rossa), Danimarca (linea viola), Finlandia (linea arancio), Svezia (linea turchese), sempre tra il 1990 ed il 2012 e come da citazione OCSE: OECD (2014), Average wages (indicator). doi: 10.1787/cc3e1387-en (Accessed on 18 August 2014)
In questo caso, nel “campione” di Stati considerati l’Italia risulta quella che ha i salari medi più bassi da tutto il periodo preso in considerazione, salvo che rispetto a Finlandia e Norvegia che ci superano “solo” tra il 2002 ed il 2003. Quindi, senza perderci in ulteriori considerazione notiamo che i salari medi italiani come definiti dall’OCSE sono inferiori rispetto a quelli dei paesi nordici considerati che hanno tutti, in termini di PIL, una economia di dimensioni più ridotte di quella italiana.
Vediamo ora, infine e proprio perché fino ad ora abbiamo considerato solo economie con un PIL inferiore a quello italiano, il paragone, appunto, tra l’Italia (linea viola), le economie “core” dell’euro-area come Francia (linea rossa) e Germania (linea azzurra), la Gran Bretagna (linea arancio), giusto per avere un dato di riferimento “legato” ad economie dalle dimensioni più simili a quella dell’Italia, che sempre su gentile richiesta dell’OCSE identifichiamo come: OECD (2014), Average wages (indicator). doi: 10.1787/cc3e1387-en (Accessed on 17 August 2014)
La cosa che si nota subito anche da questo grafico è che i salari medi italiani sono inferiori, non di poco, a quelli delle altre tre nazioni prese in considerazione, ma prima ancora, quello che si nota valutando tutti i tre grafici nel complesso è che i salari sono cresciuti dagli anni ’90 in maniera minore proprio nei paesi periferici: Irlanda esclusa. Per l’Italia la crescita è praticamente “piatta”, infatti se nel 1990 il salario medio era di 33,5 mila dollari al 2012 è di 33,8 mila dollari. In Francia il salario medio passa dai 31,3 mila dollari del 1990 ai 39,6 mila del 2012. In Germania i salari passano dai 34,8 mila dollari del 1990 ai 42,1 del 2012 ma la crescita principale si registra durante gli anni ’90 prima dell’inizio delle riforme Hartz, mentre si appiattisce negli anni 2000. Infine, il Regno Unito che ha una fortissima crescita negli anni ’90 e si trova ora ad avere una salario medio di 44,2 mila dollari. Quindi anche con riguardo ad economie di dimensioni più simili ma “maggiori” di quella italiana, rispetto ai paesi nei due grafici sopra considerati, l’Italia è il paese con i salari medi inferiori. Ancora, in alcuni paesi in cui i salari medi sono stati ridotti come, per esempio, il Regno Unito e l’Irlanda, gli stessi sono però rimasta a livelli abbastanza alti rispetto a quelli degli anni ’90 (lo stesso vale per Austria, Olanda e Danimarca); mentre negli altri paesi, come la Grecia, dove i salari stanno diminuendo già dal 2009, il Portogallo dove sono in diminuzione dal 2010 e l’Italia dove sono in diminuzione, meno marcata, sempre dal 2010, la situazione non è migliorata ed in alcuni casi (Grecia) ha avuto addirittura dei risvolti “tragici”.
Tiriamo quindi “le fila”. Dei paesi presi in considerazione, PIIGS (primo grafico), più paesi nordici (secondo grafico), più core e Regno Unito (terzo grafico), che non sono proprio pochi, l’Italia ha i salari più alti solo di Portogallo e Grecia, mentre sono più bassi di tutti gli altri paesi; in alcuni casi anche di molto. Nonostante questo e nonostante in paesi come Grecia, Portogallo ed Italia, i salari medi siano cresciuti meno che negli altri paesi ed una loro tendenziale diminuzione sia già in corso da anni, con i risultati che si vedono, nonostante per l’Italia la crescita dei salari medi sia piatta e gli stessi abbiano registrato tra il 1990 ed il 2012 un aumento minimo ed inferiore rispetto a tutti gli altri paesi – salvo i casi come appena detto di Grecia e Portogallo – quello che viene ancora una volta prospettato cosa è?! Il taglio dei salari! E, ancora, proprio nei paesi dove i salari sono cresciuti meno, sono già da qualche anno in tendenziale diminuzione con risultati che non hanno, al momento, portato nessun vantaggio ed anzi hanno peggiorato la situazione! Inoltre, non bisognerebbe trascurare il fatto che, almeno nel breve periodo, il taglio dei salari porterebbe ad una ulteriore diminuzione del reddito disponibile che deprimerebbe ancora di più la domanda ed i consumi interni, mentre i vantaggi di politiche del genere si avrebbero dopo qualche anno in una crisi che ormai ha già “compiuto” sei anni e, pertanto, dove di tempo a disposizione non ce n’è; considerato anche il fatto che fino ad ora ne abbiamo praticamente solo perso in politiche di annuncio! Chi occupa certe posizioni non può non essere a conoscenza dei dati così come esposti e pertanto sembra - a chi scrive - che le ricette proposte, invece che figlie delle considerazioni scaturite da analisi su dati reali, siano ancora una volta il portato di totem ideologici che vedono nel taglio dei salari e, cioè, nella svalutazione del fattore lavoro - tra l’latro sempre il lavoro degli altri - l’unica soluzione possibile in contesti dove la svalutazione e la diminuzione dei salari (per l’Italia nemmeno cresciuti di molto ed appena superiori al 2012 rispetto al 1990) sono già una realtà da qualche anno, senza che si abbiano segni visibili di miglioramento e dove le cose sono invece peggiorate.