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Paul Krugman attacca l’austerità europea: È follia

mercoledì 3 ottobre 2012, di Daniele Sforza

Lo dice e lo ripete da giorni, settimane, mesi. Per Paul Krugman, la politica di austerità che si conduce in Europa è pura follia. Il problema è che non è il solo: la sua voce è solo una tra le tante appartenenti all’autorevole coro dell’anti-austerity. Tagli alla spesa pubblica e gravi imposizioni fiscali non rappresentano affatto la soluzione migliore per uscire dalla crisi.

L’austerità azzera la crescita

Le politiche di austerity, così come le misure di salvataggio delle Banche centrali, possono premiare i mercati, ma di certo hanno avuto, hanno e avranno notevoli ripercussioni (negative) sul popolo. Krugman punta il dito contro queste politiche, poiché azzerano le vere, uniche e autentiche soluzioni anti-crisi: la crescita e i posti di lavoro.

Nel suo consueto editoriale sul New York Times, Paul Krugman non ha lesinato critiche, andando giù duro sulla folle austerity europea, schierandosi inevitabilmente dalla parte del popolo. Sì, dalla parte del popolo che protesta: "In molti pensano che i cittadini greci e spagnoli stiano semplicemente rimandando l’inevitabile, attraverso proteste contro quei sacrifici che devono per forza essere fatti. La verità, invece, è che chi protesta ha pienamente ragione. Una maggiore austerità non porterà a nulla: i veri irrazionali sono i politici e i funzionari che richiedono ulteriori sacrifici".

Spagna, un’analisi

"Qual è il vero problema economico della Spagna?" si chiede Krugman. Il Paese iberico sta affrontando le conseguenze di un’enorme bolla immobiliare, rea allo stesso tempo di aver "causato un boom economico e un periodo di inflazione" con la diretta conseguenza che l’industria spagnola si è resa molto meno competitiva sul mercato europeo. E così "quando la bolla è scoppiata, alla Spagna è rimasto il difficile compito di ritornare a essere competitiva, cioè affrontare un processo lungo anni". Se la Spagna non lascerà l’euro, afferma Krugman "sarà condannata ad anni di alto tasso di disoccupazione".

Contro la Germania

Per Krugman l’opinione pubblica crede ancora ciecamente alle parole dei politici e all’utilità delle politiche di austerity. "Chiedete ai funzionari tedeschi", tuona Krugman "e loro vi risponderanno che la crisi dell’euro è una storia morale, un racconto in cui Stati che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità sono ora costretti a fare i conti con la realtà". Ma questa è solo una parte della storia, spiega Krugman, che rincara la dose: "Non pensano al fatto che le banche tedesche hanno giocato un importante ruolo nella crescita della bolla immobiliare spagnola".

Dati preoccupanti

Non è la prima volta che Krugman attacca la folle austerity europea, ma a quanto riportano gli ultimi dati relativi all’andamento dei Paesi più deboli, non sono parole da prendere alla leggera. Krugman non è un folle, né un invasato che combatte singolarmente la sua crociata contro i diktat della troika.

La Grecia, ad esempio, non è lontana dal default. Gli aiuti da 31,5 miliardi che la troika potrebbe fornire alla Grecia per evitare il fallimento, prevedono ulteriori tagli a pensioni, stipendi pubblici e ammortizzatori sociali, senza considerare una maggiore imposizione fiscale e un piano di riforme strutturali che bloccherebbe la crescita e prostrerebbe il Paese. Ulteriori timori provengono dalle stime 2013, per ciò che concerne deficit (che calerebbe al 4,2%) e Pil (che si ridurrebbe di un ulteriore 3,8%). Sarebbe il sesto anno consecutivo di recessione per la Grecia, recessione che potrebbe prolungarsi ulteriormente nel tempo.

La Spagna non centrerà quest’anno gli obiettivi preposti, con il rapporto deficit/Pil che si attesterà al 7,4% (invece che al 6,3%). E anche il Portogallo non vive affatto una situazione facile: gli aiuti di cui ha goduto non hanno contribuito a far uscire il Paese dalla schiera dei più deboli, anzi: recessione prolungata e aumento del tasso di disoccupazione sono state le dirette conseguenze della politica di austerity che ha adottato.

Insomma: zero crescita, zero posti di lavoro e una crisi senza fine. Adesso si aspetta solo che cadano le prossime tessere del domino.

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