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Portogallo: dalla crisi economica alla crisi politica

martedì 27 ottobre 2015, di Christian Dalenz

Il 5 Ottobre scorso si sono tenute le elezioni politiche in Portogallo, che hanno visto prevalere con più voti la coalizione di destra “Portogallo Avanti”, formata dal Partito Socialdemocratico (che a dispetto del nome è appunto un partito di destra, da cui proviene l’ex Presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso) e dal Partito Popolare.

Il suo leader e capo del governo uscente Pedro Passos Coelho è però “arrivato primo senza vincere”, per usare la formula usata da Pier Luigi Bersani in seguito ai risultati delle elezioni italiane a febbraio 2013 (allora in riferimento al Partito Democratico di cui era leader, che risultò primo ma senza numeri sufficienti per governare); infatti ha ottenuto il 38,6% dei voti e 107 seggi, che non rappresentano la maggioranza assoluta del Parlamento portoghese.

A seguito di ciò, il Partito Socialista di Antonio Costa, dopo essersi rifiutato di costruire un governo con la destra, ha cercato di organizzare una coalizione di governo con il Blocco di Sinistra guidato da Catarina Martins e la Coalizione Democratica Unitaria (formata da Partito Comunista e Verdi) guidata da Jerònimo de Sousa; questo nonostante queste due formazioni di sinistra radicale abbiano espresso durante la campagna elettorale contrarietà alla permanenza nell’euro e nella NATO. Ma Costa sembrerebbe essere riuscito a temperare tali richieste per formare un blocco unico contro le politiche di austerità, lottando all’interno del quadro europeo. Tale coalizione rappresenta, nel complesso, il 50,9% dei voti validi espressi alle elezioni, e 122 seggi al Parlamento: ha dunque i numeri per governare.

Ma questo sforzo non è stato apprezzato dal Presidente della Repubblica, Anìbal Cavaco Silva, il quale con queste parole non ha accettato la proposta di Costa:

In 40 anni di democrazia, nessun governo in Portogallo è mai dipeso dal supporto di forze antieuropee, vale a dire forze che hanno fatto campagne contro il Trattato di Lisbona, il Fiscal Compact, il Patto di Stabilità e Crescita, così come per smantellare l’unità monetaria e portare il Portogallo fuori dall’euro, e in più che vogliono la dissoluzione della NATO.

Dopo che abbiamo sopportato un oneroso piano di assistenza finanziaria, che ha comportato duri sacrifici, è mio dovere, nell’ambito dei miei poteri costituzionali, di fare quanto è possibile per evitare di dare segnali sbagliati alle istituzioni finanziarie, agli investitori e ai mercati.

Cavaco Silva ha dunque deciso di conferire comunque l’incarico di formare un governo a Passos Coelho, il quale, va ricordato, è un suo ex compagno di partito, visto che il Presidente del Portogallo proviene proprio dal Partito Socialdemocratico. Visto che socialisti e comunisti non intendono conferire la fiducia alla destra, lo scenario più probabile è attualmente un governo di transizione che guidi il Paese a nuove elezioni, se non lo stallo totale.

L’atto del Presidente portoghese appare ancor piu’ grave se consideriamo come in Italia, a seguito dell’incerto esito delle elezioni del 2013 il Presidente Giorgio Napolitano fosse, almeno a parole, pronto a dare la maggioranza a chiunque fosse nelle condizioni numeriche di governare (all’epoca rimproverava infatti sia a Bersani che a Beppe Grillo, che chiedevano di ricevere l’incarico di governo, di non avere da soli la maggioranza sufficiente), prima di vaticinare personalmente la nascita del Governo Letta. Ma la situazione in corso solleva interrogativi sulla qualità della democrazia non solo in Portogallo, ma in tutto il continente europeo; abbiamo infatti visto come in Grecia il partito di maggioranza Syriza di fronte al pressing delle istituzioni europee abbia dovuto, almeno al momento, cedere alle sue intenzioni di cambiamento della politica economica del proprio Paese nonostante fosse forte sia della vittoria alle elezioni dello scorso gennaio sia del referendum anti-memorandum dello scorso luglio.

Particolarmente interessante è il paragone storico che Frances Coppola, nel suo articolo “Le ricadute della crisi greca minacciano la democrazia europea” scritto per Forbes, fa tra la Primavera di Praga del 1968 e la vittoria di Syriza al referendum contro il memorandum a luglio. In riferimento alla prima, l’allora Presidente americano Lyndon Johnson disse:

E’ triste che per i comunisti un segno di libertà in Cecoslovacchia sia considerato come una grave minaccia alla sicurezza del sistema sovietico.

Allo stesso modo, per Coppola è triste che in Europa un segno di libertà dalla Grecia, come il suddetto referendum, sia considerato una minaccia per la sicurezza dell’Eurozona. A ciò, si aggiunge ora la situazione portoghese: per Coppola il rifiuto del Presidente Cavaco Silva è un tentativo di evitare un secondo esperimento Syriza. Ma così come infine la libertà prevalse e il Muro di Berlino cadde, prosegue Coppola, rivolte popolari potrebbero far cadere il “mostro” di Bruxelles.

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