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MPS e Carige: il problema sono le fondazioni? Sembra di si

martedì 30 aprile 2013, di Vittoria Patanè

Monte dei Paschi e Banca Carige, Siena e Genova, 1472 e 1483. Ci sono sempre state delle somiglianze tra i due istituti, tra i più antichi d’Italia e del mondo, che hanno portato molti a fare dei paragoni, a volte anche impropri a dir la verità.

Recentemente Carige è stata accostata ad MPS a causa delle vicissitudini finanziarie che sta affrontando, ma anche in relazione allo strano rapporto con la politica ligure che ha sempre contraddistinto la banca.

Ma tra i due istituti le analogie non finiscono qua, ce n’è un’altra: entrambe sono infatti in mano a fondazioni che gestiscono, rispettivamente il 47% (Monte dei Paschi) e il 34,17 (Carige).

Tutte e due gli istituti poi non brillano in borsa: nell’ultimo anno il titolo MPS ha perso il 21,4% del proprio valore, mentre quello di Banca Carige ha lasciato per strada il 29%. Numeri che, a fronte dei guadagni che hanno contraddistinto il FTSE Mib nello stesso periodo (+13,6%), dovrebbero far riflettere.

Ultima informazione: Entrambe hanno aperto il portafoglio nella prima fase della crisi, nel 2008-2009, e dovranno farlo nuovamente.

MPS e Carige: le spese

La fondazione ha partecipato all’aumento di capitale da 5 miliardi che è servito per acquisire Antonveneta, sottoscrivendo poi il prestito convertibile Fresh, disegnato da JP Morgan. Spesa totale: quasi 3 miliardi di euro.

Nel 2011 un secondo cospicuo esborso, dovuto alla ricapitalizzazione di 2,15 miliardi a servizio del rimborso dei Tremonti Bond, che ha portato la banca ad indebitarsi ulteriormente. Previsto inoltre un nuovo aumento di capitale da un miliardo per il 2014.

Carige, dal canto suo, ha dovuto sborsare la bellezza di 423 milioni nell’ambito di un’operazione straordinaria che risale al 2008 e probabilmente dovrà versarne altri se il piano di dismissioni non andrà in porto.

Dividendo

Nel corso della riunione di ieri gli azionisti di Monte dei Paschi hanno espresso parere favorevole all’azione di responsabilità nei confronti degli ex dirigenti, rinunciando ai propri dividendi e permettendo allo Stato, attraverso il meccanismo dei Monti – bond, di diventare azionista di minoranza della banca. Non una vera e propria nazionalizzazione quindi, ma ci andiamo vicini.

Leggermente diversa la situazione degli azionisti di Carige che, pur avendo rinunciato quest’anno al dividendo, l’anno scorso hanno beneficiato di dividendi pari a 7 centesimi sia per le azioni ordinarie che per quelle di risparmio.

Decisione generosa certo, ma forse un po’ avventata. Negli ultimi 3 anni infatti, la percentuale dell’utile destinata ai dividendi, è stata del 69% nel 2009, del 71% nel 2010 e del 67% nel 2011. Significa che su 10 euro di utili, 7 sono andati alla Fondazione e 3 sono stati messi da parte, a discapito della patrimonializzazione.

Le riunioni di ieri

Nel corso della riunione di ieri nella quale è stato approvato un bilancio con una crescita dei crediti dubbi del 27,5% a 3,2 miliardi di euro in soli dodici mesi, i vertici del gruppo guidato da Giovanni Barneschi hanno anche discusso sulla spinosa questione del valore delle quote nel capitale di Carige (ricordiamo che a fine 2011 era valutata 860 milioni, tra le 7 e le 12 volte in più rispetto alle altre banche). Neanche una parola invece sulla crescita costante del valore degli sportelli, altra questione che lascia perplessi gli analisti.

Sul fronte Monte dei Paschi invece preoccupa l’effetto sui depositi (meno 11 miliardi nel 2012 rispetto al 2013) delle inchieste. Secondo Viola i danni dovuti alle vicissitudini della banca si stanno pian piano riassorbendo, mentre sul fronte giudiziario continuano le indagini.

Gabriello Mancini, nel corso dell’assemblea, ha affermato:

«Il problema di fondo è il rapporto che ci deve essere tra Fondazione e istituzioni e degli indirizzi che le istituzioni danno alla Fondazione»

Insomma la colpa è degli enti locali. Forse prima di parlare di qualsiasi questione, si dovrebbe ripensare e riassettare il rapporto con essi.

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