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Grecia, euro: m’ama o non m’ama? Se i greci dicessero no...
giovedì 3 novembre 2011, di
GRECIA, EURO. Default di pagamento, ritorno alla dracma, svalutazione massiccia, iperinflazione, recessione ... uscire dall’euro potrebbe tradursi per l’economia greca in un disastro. Ecco perchè.
Eurozona: o la ami o la lasci. Questo è essenzialmente il messaggio di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, indirizzato a George Papandreou ieri sera dopo un mini-vertice di crisi a Cannes. Il presidente francese e il cancelliere tedesco hanno posto le loro condizioni al referendum deciso dal Primo Ministro greco: la consultazione non verterà sul piano di salvataggio dell’euro bensì sul desiderio di rimanere o meno nella zona euro. E dovrà avvenire prima di Natale.
E ’chiaro che la questione che si pone è quella del futuro europeo della Grecia. Il paese vuole rimanere o no nella zona euro? Se il popolo greco dirà di non volere che il paese rimanga nella zona euro, lo "rispetteremo", ha dichiarato Angela Merkel. E’ la prima volta che l’ipotesi di uscita di uno Stato dalla zona euro è così esplicitamente considerata.
George Papandreou si è piegato alle ingiunzioni della coppia franco-tedesca. Il referendum si svolgerà il 4 dicembre e la sfida sarà, chiaramente, l’appartenenza o meno della Grecia alla zona euro, ha detto il primo ministro greco la scorsa notte. Il referendum è comunque subordinato al voto di fiducia in Parlamento della politica del governo greco e all’eventuale organizzazione di elezioni parlamentari anticipate. Se i greci fossero chiamati alle urne, cosa risponderebbero? Il popolo greco , probabilmente, non vuole uscire dalla moneta unica. Non è contro l’euro che la gente protesta, piuttosto contro le severe e ingiuste misure di austerità.
Tuttavia, in questi tempi di grave instabilità politica e di confusione della popolazione, nessuno può assicurare che il malcontento dei Greci non si materializzerà in un voto di protesta alle urne, traducendosi in un “no” alla zona euro. In linea di principio, nessun paese può lasciare l’area dell’euro. Né l’uscita né l’esclusione sono strade percorribili, in quanto escluse dai trattati europei. In realtà, nulla sembra poter impedire che un paese lo richieda, anche a rischio di mettere a repentaglio l’appartenenza all’Unione europea. Per la Grecia, così come per l’Europa, questa eventualità è potenzialmente esplosiva.
Per i Greci, un ritorno alla loro vecchia valuta nazionale potrebbe sembrare allettante: la svalutazione della dracma rispetto all’euro permetterebbe teoricamente di ripristinare la competitività dell’economia ellenica. Ma ci vorrebbe almeno una svalutazione del 50% per sperare di ristabilire l’equilibrio al di fuori della Grecia, al prezzo di un terribile shock economico per i Greci. Infatti, l’inflazione s’impennerebbe in quanto il prezzo delle merci importate, come l’energia, aumenterebbe con gravi conseguenze per il potere d’acquisto delle famiglie.
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Inoltre, il debito in euro contratto dallo stato, dalle imprese statali e dalle famiglie greche dovrebbe essere rimborsato in una moneta svalutata, cosa che farebbe esplodere il prezzo del debito greco in euro. In caso di default unilaterale sul proprio debito e non coordinato con i suoi creditori, la Grecia sarebbe a lungo “bannata” dai mercati finanziari. Tagliata fuori. Ma il deficit pubblico greco, debito escluso, ha raggiunto di nuovo il 2,5% del PIL. Per poter far “tornare i conti” lo Stato greco dovrà ridurre la spesa di 3 miliardi di euro.
D’altro canto, i principali perdenti in caso di un fallimento totale non sarebbero le banche francesi o tedesche, ma le stesse banche elleniche, che detengono un totale di 52 miliardi di obbligazioni greche, il 15% del debito. Ma il margine delle banche greche è molto limitato, se non inesistente. Lo Stato greco dovrà ricapitalizzarle, se non vuole il collasso del sistema bancario. E poiché le sue casse sono vuote, la banca centrale greca non avrà altra scelta che stampare denaro. Cosa che accentuerebbe l’aumento dell’inflazione.
Questo scenario da incubo ricorda il precedente argentino: l’Argentina andò in default sul suo debito, un decennio fa, il suo PIL diminuì del 10%, la disoccupazione balzò al 25% e l’inflazione raggiunse il 40%. Il paese impiegò dieci anni per ri-alzare la testa, grazie alla sua capacità di esportare prodotti manifatturieri e soprattutto grazie al boom delle materie prime agricole, tra cui soia soprattutto. La Grecia, non ha materie prime strategiche (frumento, soia, petrolio, ecc.) e produce pochi prodotti industriali. Non può dunque ispirarsi all’ Argentina.
Un’uscita della Grecia dall’area dell’euro sarebbe esplosiva non solo per il paese stesso, ma per l’intera Europa. L’agenzia di rating Fitch ritiene che un "no" dei greci al referendum minaccerebbe la "vitalità" della zona euro. Un fallimento disordinato della Grecia potrebbe far precipitare la situazione e provocare l’uscita di altri paesi fiscalmente fragili - Portogallo, Spagna, Italia ... o Francia. Una soluzione possibile per scongiurare questo effetto contagio: l’attuazione rapida ed efficace della potenza di fuoco da 1000 miliardi di euro del Fondo europeo di soccorso per i paesi in difficoltà (EFSF). Ma il fondo dovrebbe comunque lottare duramente per far fronte al default di un paese come l’Italia il cui debito pubblico è a 1.900 miliardi di euro ...