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Forex, EUR/USD a 1,0495 e crollo del prezzo del petrolio: la settimana delle borse e gli effetti sullo scenario internazionale
sabato 14 marzo 2015, di
Alla costante discesa dell’euro iniziata già da alcune settimane per effetto dell’avviamento del Quantitative Easing si è associata negli ultimi giorni un rinnovato crollo del prezzo del petrolio. La settimana delle borse si chiude, quindi, con esiti differenti pur in un clima di generale incertezza. Ecco quali i sono i dati della settimana e i possibili risvolti dell’attuale situazione economica.
Forex Eur/Usd
Mentre il dollaro continua la sua corsa, l’euro è tornato ieri a calare, scendendo sotto soglia 1,05 contro il biglietto verde e attestandosi, a fine seduta a quota 1,0495, dopo aver toccato nella giornata di ieri anche il nuovo minimo storico degli ultimi 12 anni (1,0482 dollari). Per quanto riguarda l’andamento complessivo della settimana è stata registrata una perdita di quasi il 5% contro il dollaro.
L’andamento dell’euro è chiaramente condizionato, per non dire determinato dall’avvio del QE da parte della BCE che, immettendo valuta fresca sui mercati europei, deprezza il valore della moneta unica. La scorsa settimana la BCE ha acquistato quasi 10 miliardi di titoli di stato, per lo più a lunga scadenza e per lo più dei Paesi che risultano essere i principali azionisti della Banca Centrale Europea.
Al di là degli acquisti occorre segnalare che l’istituto bancario di Francoforte monitora costantemente non solo l’acquisto di titoli di stato ma anche la situazione del cambio e l’andamento del cross eur/usd.
In base alle ultime stime macroeconomiche della BCE, occorre ricordare che è stato ipotizzato un cambio dell’euro contro il dollaro stabile a quota 1,13 fino al 2017, al fine di riportare l’inflazione a quota 1,7%. Le stesse stime macroeconomiche ricordavano che accanto a questo scenario di base, sarebbe stato possibile, come si sta già effettivamente configurando, un andamento più debole dell’euro. Ciò potrebbe, se non quest’anno, nel 2016, determinare delle conseguenze non del tutto auspicabili, almeno per la BCE.
L’obiettivo primario della BCE, previsto esplicitamente dal proprio mandato, non è infatti quello di immettere liquidità nell’Eurozona, quanto, piuttosto quello di riportare l’inflazione a una soglia inferiore, seppur vicina, al tetto del 2%. Se l’euro continuasse a rimanere alla soglia attuale, o arrivasse presto alla parità col dollaro, come molti esperti prevedono che avvenga effettivamente nei prossimi mesi, gli effetti potrebbero essere molto apprezzabili per le famiglie e per le imprese, soprattutto le imprese che fanno dell’export il loro punto di forza ma potrebbe determinarsi un’inaspettata ulteriore conseguenza. Anche se si tratta di uno scenario estremamente ottimistico, dal momento che le quotazioni dell’euro contro il dollaro sono già ben al di sotto della soglia prevista dalla BCE nelle sue stime, l’inflazione dell’Eurozona, nel medio termine (e comunque prima del 2017), potrebbe sforare il tetto del 2%. Proprio da qui nascono le recenti critiche di Jens Wiedmann che ha dichiarato il QE inutile con la ripresa economica e che, insieme ad altri falchi tedeschi e nordeuropei potrebbero chiedere presto alla BCE di stringere i cordoni della borsa, proprio al fine di evitare una crescita troppo sostenuta dell’inflazione.
Crollo del prezzo del petrolio
La notizia senz’altro più inaspettata, giunta ieri dagli Stati Uniti è un nuovo calo del prezzo del petrolio. Sono state le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’Energia stavolta, a sconvolgere un esile cammino di ripresa dei prezzi del greggio che aveva iniziato a configurarsi nei giorni scorsi. L’Agenzia ha, infatti segnalato che la volatilità dei prezzi dell’oro nero non è finita, la stabilizzazione dei prezzi è solo momentanea e nuovi ribassi potrebbero essere determinati dall’immissione sul mercato degli stoccaggi americani. Queste notizie hanno determinato una nuova, consistente, frenata di tutto il comparto degli energetici con un prezzo del WTI che si è attestato a 45,05 dollari al barile (flessione giornaliera del 4% che ha determinato una flessione settimanale del 9,6% la più forte da dicembre) e quello del Brent a quota 54,89 dollari.
La notizia ha prodotto gli effetti maggiori su Wall Street che dove il Dow Jones ha ceduto lo 0,82% (146,04 punti) attestandosi a quota 17.749,18; lo S&P 500 ha perso lo 0,61% (12,57 punti) chiudendo a quota 2.053,38; il Nasdaq ha lasciato sul terreno lo 0,44% (21,53 punti) chiudendo a quota 4.871,76.