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Europa: sistemare le sedie sul ponte del Titanic non risolve il problema

venerdì 28 ottobre 2011, di Nadia Fusar Poli

EUROPA, CRISI. I leader della zona euro hanno raggiunto un accordo, con le banche, sulla Grecia. Ma la vaghezza del piano e il curioso appello a dei finanziamenti esterni, hanno sollevato dubbi sul fatto che possa trattarsi di una soluzione definitiva alla crisi del debito sovrano.

Frustrazione e stupore dovrebbero accogliere l’accordo, strappato durante la notte tra Mercoledì e Giovedì con l’obiettivo di alleviare la crisi del debito che affligge e avvelena l’area dell’euro da quasi due anni. Lo stupore viene da un appello, una richiesta ormai esplicitamente lanciata dagli europei alle potenze emergenti. Questo 27 ottobre, Eurolandia ha consegnato una copia delle chiavi di casa nelle mani dei grandi fondi sovrani di questi paesi? A Bruxelles, si minimizza la portata di questa decisione. Cina, Brasile e Giappone sono già presenti in Europa. Circa il 40% delle emissioni dell’ EFSF è già stato effettuato grazie a fondi sovrani e di banche centrali dei paesi asiatici o mediorientali. "Siamo in un’economia aperta," ha insistito un commissario dopo il vertice. "Non è una brutta cosa incoraggiare i cinesi ad essere corresponsabili dell’ordine economico globale, e non dei free riders", ha detto una fonte europea. Si vada a cercare denaro in Asia, Medio Oriente e Sud America piuttosto che stamparlo sembra dire il cancelliere Angela Merkel. Dal punto di vista degli equilibri macroeconomici, il ragionamento ha un senso. Ma è troppo presto per dire se il percorso scelto, sotto la pressione della Germania, per rinforzare il meccanismo di sostegno europeo sarà positivo. Né quale impatto questo nuovo strumento internazionale potrebbe avere sulla sovranità europea.

La frustrazione è il risultato della disarmante incapacità dei leader europei di spiegare chiaramente l’accordo, che assicurano di aver raggiunto nella notte, circa la ristrutturazione del debito greco. Non si è trattato affatto di una “passeggiata”: ore e ore della estenuante maratona, nella notte tra Mercoledì a Giovedì, sono state dedicate a tali negoziati, che hanno riunito il direttore di una lobby bancaria, Charles Dallara, direttore dell’Istituto per la Finanza Internazionale e leader politici di Francia e Germania.

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"Non avevano che una sola da fare, ed è stato accettata” ha sentenziato Giovedì mattina il cancelliere tedesco.
In realtà, di fatto, non esiste un accordo. Né sul prezzo né sulla scadenza di obbligazioni future che saranno scambiate con i titoli spazzatura (jumk bonds) esistenti. Ciò che i Diciassette hanno definito, sono le linee rosse dello scambio di obbligazioni future, vale a dire un debito greco ridotto al livello considerato "sostenibile", pari al 120% del PIL nel 2020 e garanzie statali (attraverso l’EFSF?) che non supereranno i 30 miliardi (escluso il sostegno “una tantum”della Banca centrale europea, al momento dello scambio stesso).

Dietro la confusione risiede, tuttavia, una buona notizia: gli europei hanno finalmente ammesso l’insolvenza della Grecia e Angela Merkel, in persona, ha riconosciuto che Atene avrà ancora bisogno "per anni" del sostegno dei suoi vicini, compresa la Germania. Si tratta di una svolta importante. All’inizio di questa estate l’idea di un default greco era appena riconosciuta. Bisognava, “solo” far pagare le banche. Da allora, il rifiuto ha lasciato il posto alla realtà. Per quanto riguarda ciò che, dei circa 100 miliardi di euro di riduzione del debito concesso ad Atene, sarà effettivamente addossato alle banche e quanto, infine, in virtù dell’accordo raggiunto su tasse e garanzie, sarà, ancora una volta, a spese dei contribuenti europei, è un’altra questione.

I deputati europei, in riunione plenaria a Strasburgo, hanno condiviso la sensazione che "resta ancora molto da fare”. La sinistra critica tanto l’ "austerità diffusa" quanto l’incompletezza del piano. "Tutto quello che avete fatto ieri, è stato rimettere in ordine le sedie a sdraio sul ponte del Titanic", hanno scherzato i conservatori britannici, con un tipico humor inglese. E di certo, così, non si risolve il problema.

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