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Euro/Dollaro vola ai massimi da inizio anno e vede quota 1,38

mercoledì 19 febbraio 2014, di Nicola D’Antuono

Continua il momento negativo del dollaro americano, che ieri ha accusato un altro brutto colpo dopo il deludente dato macro relativo all’indice Empire State Manufacturing elaborato dalla FED di New York. L’attività manifatturiero nel princpale distretto industriale del paese ha rallentato molto a febbraio. Infatti, la stima preliminare indica una flessione a 4,5 punti dai 12,5 punti del mese scorso. Gli analisti finanziari si aspettavano un calo dell’indice, complice le condizioni meteo particolarmente avverse nelle ultime settimane, ma soltanto fino a 9,9 punti. Sul forex il tasso di cambio euro/dollaro è salito sui massimi delle ultime 7 settimane a 1,3770, avvicinandosi tantissimo all’area di resistenza di 1,38.

Sull’andamento del cambio non ha influito, invece, il dato in chiaroscuro relativo all’indice Zew tedesco che a febbraio è sceso a 55,7 punti dai 61,7 punti del mese precedente. Il dato si riferisce alle aspettative economiche degli investitori tedeschi, mentre la situazione corrente ha evidenziato un miglioramento e un risultato superiore alle aspettative. La parte prospettica ha deluso molto: gli investitori teutonici temono che l’export della principale economia continentale possa subire un brusco stop in caso di peggioramento della crisi valutaria dei mercati emergenti e se l’economia americana dovesse iniziare a perdere colpi, creando i presupposti per un inatteso rallentamento su scala globale.

Il cambio euro/dollaro resta comunque molto tonico. Il quadro tecnico di breve periodo continua a evidenziare chiari segnali di forza, anche se siamo all’interno di un’ampia area di resistenza che si estende da 1,37 a 1,38. A sostenere la moneta unica sono ancora i forti flussi monetari esteri che continuano a riversarsi nei bond della periferia europea, come dimostrato dal netto calo degli spread sovrani dei PIGS (ieri lo spread Btp-Bund è sceso sotto 190 punti base e i tassi sul Btp decennale sono scesi sui minimi del 2006), ma anche il clima di appetito per il rischio presente sui mercati azionari dei paesi maggiormente sviluppati.

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