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Etichette territori occupati: Netanyahu congela i rapporti diplomatici tra Israele e Ue
lunedì 30 novembre 2015, di
Non si è fatta attendere la risposta di Israele riguardo alla decisione dell’Unione europea – dello scorso 11 novembre – di varare una direttiva sull’adozione di etichette ad hoc per i prodotti israeliani provenienti dagli insediamenti Cisgiordania e dalle Alture del Golan. Il premier Benjamin Netanyahu, infatti, ha deciso di sospendere le relazioni diplomatiche con la Ue e di rivedere i loro coinvolgimento per quanto concerne il processo di pace con i palestinesi.
In particolare, come si legge in un comunicato diffuso dal portavoce del ministero degli Esteri (di cui il premier israeliano ha l’interim): «Benyamin Netanyahu ha ordinato un riesame del coinvolgimento delle istituzioni Ue per il processo di pace con i palestinesi. Al fine del riesame ha deciso di sospendere i contatti diplomatici con le stesse istituzioni e i loro rappresentanti a seguito dell’etichettatura dei prodotti di colonie israeliane da parte europea. Israele mantiene contatti diplomatici con i singoli Paesi europei come Germania, Francia e Gran Bretagna, ma non con le istituzioni europee».
Da subito i toni usati da Netanyahu in merito a ciò che è stato recepito da Israele come un “boicottaggio commerciale” sono stati aspri: «La Ue deve vergognarsi per aver deciso di contrassegnare solo Israele. Non siamo disposti ad accettare il fatto che l’Europa contrassegni il lato attaccato da atti terroristici», sottolineando che: «L’economia israeliana è forte e resisterà. Ad essere colpiti saranno proprio i palestinesi che lavorano negli stabilimenti israeliani». E già le intenzioni erano abbastanza chiare, viste le dichiarazioni del portavoce del ministero degli esteri israeliano Emanuel Nahshon: «Questo passo solleva domande sul ruolo che la Ue aspira a giocare. E può avere anche implicazioni sulle relazioni tra Israele e l’Europa». A tal riguardo, la Commissione europea aveva ribadito di non sostenere «alcuna forma di boicottaggio o sanzione per Israele», definendo – per voce del rappresentante europeo Lars Faaborg Andersen – l’etichettatura «tecnica e non politica».
Espressione che non era stata affatto gradita dal ministero degli Esteri, che aveva replicato: «Il fatto che la Ue definisca "tecnico" il provvedimento varato è un’affermazione cinica e priva di fondamento. Al contrario le norme varate rafforzeranno gli elementi radicali che promuovono il boicottaggio contro Israele e negano il suo diritto all’esistenza. Israele condanna la decisione dell’Ue e nessuna etichettatura farà avanzare il processo di pace, al contrario potrebbero rafforzare il rifiuto dei palestinesi a tenere negoziati diretti con Israele», concludendo: «Ci dispiace che la Ue scelga di fare un passo discriminatorio ed eccezionale come questo in un momento in cui Israele si trova ad affrontare un’ondata di terrore diretta contro tutti i cittadini ovunque si trovino».
E, sempre in queste ore, il ministero dell’istruzione israeliano ha «vivamente sconsigliato» le gite scolastiche in Europa, per il timore di nuovi attentati, con la sola esclusione della Polonia per i viaggi collegati ai luoghi dello sterminio nazista degli ebrei.
Etichettatura, non soltanto una questione politica – La nuova direttiva Ue sancisce che i produttori israeliani devono indicare esplicitamente sull’etichetta il nome dell’insediamento dove la merce destinata all’esportazione è stata effettivamente prodotta, e non usare semplicemente la dicitura “Made in Israel”. Questo servirà ad identificare i prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani nei territori occupati dopo la guerra del 1967 (tra cui, le alture del Golan, la Striscia di Gaza). In particolare, in base a quanto stabilito dalla Commissione europea, l’indicazione "insediamento israeliano" deve essere specificato tra parentesi. Il provvedimento riguarda soprattutto i prodotti agricoli: frutta e verdura, vino, miele, olio d’oliva, uova, date, vino, pollame ed altri
Sotto il profilo economico, si stima che i rapporti commerciali tra Ue e Israele sono di circa 30 miliardi l’anno (17 mld di export verso Israele e 13 mld di import). Di questi, i prodotti provenienti dai territori occupati rappresentano soltanto lo 0,5% del totale. Nonostante ciò, Israele ha paura che i consumatori europei potrebbero avere una condotta discriminante rispetto a tutti i loro prodotti
