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Donne leader d’azienda? Gli italiani dicono sì, ma il Paese deve crescere
domenica 9 giugno 2013, di
Più donne dirigenti d’azienda: lo chiedono i cittadini. A quanto riporta il Randstad WorkMonitor, un’analisi condotta da una tra le più note e importanti agenzie interinali del mondo, 7 italiani su 10 preferirebbero una donna al comando di un’azienda. L’80% asserisce che il contributo femminile risulta fondamentale per formare un team di qualità e per aumentare la produttività del lavoro. Eppure le quote rosa nei rami aziendali italiani sono ancora molto basse, perché, come denunciato da più parti, le donne incontrano maggiori difficoltà rispetto agli uomini nell’accesso a ruoli di leadership.
Più donne al comando in Italia
Il nostro Paese registra un piccolo paradosso: il Nord-Est italiano, infatti, ovvero una delle zone più industrializzate del Paese, in base ai recenti dati riportati dall’Osservatorio Professione Donna registra una media inferiore a quella nazionale per ciò che concerne la presenza di donne ai posti di comando. Eppure gli ultimi report della Commissione europea hanno denunciato una crescita esponenziale del nostro Paese nell’inserimento delle donne nei CdA delle aziende: +4,9% su una crescita complessiva nell’Ue del 15,8%.
C’è tuttavia da analizzare un fatto: ovvero che mentre l’Italia è in controtendenza rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea, dove invece si predilige a livello di opinione una leadership maschile, il nostro Paese è ancora molto in basso nella classifica europea di presenze femminili in ruoli chiave aziendali. L’Italia figura invece nella top ten (6°) per quanto riguarda la leadership maschile.
Donne più scoraggiate
A volere più donne al comando aziendale sono i soggetti di sesso femminile, ma anche la componente maschile non disdegna affatto questa componente, visto che più di 1 uomo su 2 è convinto che una donna dirigente d’azienda possa essere molto più utile e produttiva rispetto a un uomo. Tra le donne, tuttavia, aumenta il tasso delle scoraggiate, ovvero di quelle che si fermano davanti alle numerose (e reali) difficoltà per accedere a posizioni di leadership e alle diverse problematiche “di genere” che incontrano lungo il loro cammino professionale.