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Crisi: i governi cadono. Prima la Grecia ora l’Italia. Tutta colpa dei mercati?

venerdì 11 novembre 2011, di Nadia Fusar Poli

CRISI La crisi del debito nella zona euro ha consegnato un ruolo importante ai mercati, accusati di aver “ucciso” molti governi: una pressione considerata pericolosa per la democrazia e ma al tempo stesso legittima considerata l’incapacità e inadeguatezza dimostrata da alcuni leader.

Dopo il primo ministro greco George Papandreou, il premier Silvio Berlusconi ha annunciato le sue dimissioni, ormai questione di ore, stretto in una duplice morsa letale: una situazione finanziaria fuori controllo e una mancanza di fiducia dei mercati.

Diktat, negazione della democrazia, messi sotto tutela. I mercati rappresentano il colpevole designato per alcuni, al punto di essere accusati di “fare e disfare” i governi, al posto degli elettori.

Il gioco democratico è di nuovo rimesso in causa. Lo fa una parte della stampa italiana che ha sottolineato Giovedì che le dimissioni di Silvio Berlusconi sono principalmente il risultato dei "bulldozers dei mercati" e non dei meccanismi democratici. Molti economisti, tuttavia, relativizzano l’impatto degli investitori sui governi.

Se si vuole sottrarre gli Stati al potere dei mercati, probabilmente i paesi dovrebbero smettere di indebitarsi. Proprio i paesi indebitati hanno assistito ad una destabilizzazione del proprio governo: Portogallo e Irlanda in primis. Anche per la Francia, con il suo rating tripla A, la questione del debito occupa un posto importante nel dibattito politico.

Forse non è che i mercati stanno guadagnando influenza, è che non si è in grado di dar loro una risposta. La miglior prova che i mercati non sempre remano contro i paesi, è da ricercarsi negli Stati Uniti, in Germania o nel Regno Unito, che si finanziano tutti a buon mercato, anche se per motivi diversi. Si potrebbe dire che il mercato restituisce loro potere. Chiedendo tassi di prestito così bassi, si dà a questi paesi un importante margine di manovra.

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Il bersaglio dei mercati del credito non sarebbe dunque altro che quello dei paesi a rischio e mal gestiti, puntando il dito sul reale e irrisolto problema del debito, per paura di non essere rimborsati.

Di conseguenza, i mercati sono appesi gli annunci politici. La designazione dei governi di transizione, di coalizione o tecnocratici, in Grecia e in Italia, sembra calmare, almeno in parte, le agitate acque politiche (e quindi dei mercati), perché considerati come i soli in grado di attuare quelle misure che i mercati ritengono necessarie per superare la crisi.

Tuttavia, c’è ancora un problema: la legittimità dei nuovi governi. Questo sarà il loro problema. Ma altrove, al di fuori dei mercati. Ovvero, nei confronti del popolo.
Alcuni paesi sono ancora più “maltrattati”, perché non beneficiano dell’ “ombrello europeo”, aspetto, quest’ ultimo, che mette in luce un’ altra lacuna, un deficit evidenziato dagli stessi mercati, ovvero quello della costruzione incompiuta dell’Europa.

La caduta del governo diventa un sintomo piuttosto inquietante che illustra uno dei problemi principali nella zona euro, cioè quello di essere montaggio un po ’kafkiano.

L’ Europa, dai negoziati ai summit o attraverso la Banca centrale europea (BCE), non ha saputo convincere i mercati che era pronta a dotarsi dei mezzi per armare le sue ambizioni, ad esempio attraverso più federalismo, per colmare il deficit democratico dei paesi.

A causa di questa mancanza di risposta europea e nazionale, il rischio per alcuni è quello di mettere in pericolo il funzionamento democratico.

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