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Clima, COP21 al via a Parigi: opportunità o retorica?
lunedì 30 novembre 2015, di
Dopo il duro colpo inferto dagli attentati dello scorso 13 novembre – in un’atmosfera tutt’altro che serena – Parigi riprende gli impegni segnati in Agenda, ospitando “COP21”: la XXI Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC) sui cambiamenti climatici. Un summit di cruciale importanza, visto che dovrebbe portare i 193 Paesi e gli oltre 150 Capi di Stato e di Governo - presenti a Parigi – a siglare un nuovo accordo internazionale sul clima, al fine di contenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2 °C.
Tuttavia, come spesso accade in questi casi, il condizionale è d’uopo se si pensa che il precedente Protocollo di Kyoto – redatto l’11 dicembre al margine della Conferenza COP3 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005 –, non è mai stato ratificato dagli Stati Uniti.
Sulla base di queste premesse, la Conferenza dovrà affrontare una sfida ardua per centrare gli obiettivi che si prefigge di raggiungere. Infatti, molteplici sono gli interessi coinvolti (politici, economico-finanziari, sociali, ambientali). Non sarà semplice, quindi, trovare un accordo universale, condiviso ed esteso a tutti i Paesi. Tuttavia, come preannunciato dal ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius (che presiederà il vertice), l’obiettivo sarà quello di redigere un trattato che «presenterà alcune clausole che saranno comunque legalmente vincolanti. Non stiamo facendo letteratura».
L’incidenza e i numeri del riscaldamento climatico – Al fine di comprendere meglio l’importanza del Vertice di Parigi, è necessario evidenziare alcuni numeri. Secondo il report diffuso dalla Banca Mondiale nel 2014 dal titolo "4° turn down the heat: confronting the new climate normal", del Potsdam Institute for Climate Impact Research and Climate Analytics: «Nelle misura in cui il pianeta si riscalda, le ondate di calore e gli altri fenomeni meteorologici estremi che si producevano una volta ogni secolo, forse mai, diventeranno la nuova norma climatica», sottolineando che tutto ciò «potrebbe diventare ineluttabile». Uno scenario che, se si concretizzasse davvero, porterebbe con sè gravi ripercussioni sullo sviluppo e la sopravvivenza di milioni di persone. Ecco perché, in estrema sintesi, è fondamentale intervenire sull’emissione dei gas serra. Un processo che, per dovere di cronaca, occorre puntualizzare è stato già intrapreso. Ma non è ancora sufficiente.
A tal riguardo, dal 1990 al 2014, l’Ue ha contratto le proprie emissioni di gas serra del 23%, andando oltre il valore fissato del 20% per il 2020. Tuttavia, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (Aea), l’Unione europea si dovrà impegnare molto di più se vorrà raggiungere il target del 40% per il 2030. Per quanto concerne Cina e Usa, entrambe hanno evidenziato un aumento dello 0,9%, in flessione rispetto agli anni precedenti. In progresso, invece, le emissioni di gas serra dell’India (+7,8%). Invece, nel 2014, complessivamente le emissioni sono cresciute solo dello 0,5%.
Naturalmente, una simile azione non sarà indolore. Tuttavia, alla fine, i benefici supereranno i costi. Infatti, come stimato dalla Banca Mondiale, favorire il cambiamento climatico dovrebbe far aumentare – sotto forma di nuovi posti di lavoro, produttività e miglioramento della salute pubblica (che si traduce in un minor impatto sulla spesa sanitaria) – il PIL mondiale fino a circa 2.600 miliardi di dollari all’anno entro il 2030.
La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici - Le osservazioni del sistema climatico, con l’ausilio di strumenti, ha avuto inizio verso la metà del XIX secolo. A partire dal 1950, le osservazioni sono andate perfezionandosi, portando allo sviluppo della paleoclimatologia, ovvero lo studio delle condizioni climatiche verificatesi nelle epoche geologiche passate e delle cause dei loro cambiamenti. Tra le fonti prese in esame nell’ambito della paleoclimatologia troviamo i ghiacciai.
Ed è proprio dallo studio delle carote di ghiaccio prelevate dall’Antartide – nel febbraio 1985 –, dopo due anni di decifrazione dei dati acquisiti, che sono state ottenute delle prove certe riguardanti una correlazione tra il riscaldamento climatico e la concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera. Questi risultati, incrociati con quelli ottenuti dalla perforazione di sedimenti marini e dallo studio di altri gas serra come il metano, hanno spinto le Nazioni Unite a creare – nel 1988 – l’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, due organismi delle Nazioni Unite: l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) ed il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP)), al fine di studiare il riscaldamento globale.
«Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e, dal 1950, molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti per decenni, persino millenni. Gli esperti hanno avuto la certezza sulle cause di questo fenomeno. L’influenza umana sul sistema climatico è stato chiaramente provato. [...] Per limitare il cambiamento climatico sarà necessario procedere – in modo significativo e duraturo – alla riduzione delle emissioni di gas serra». Questa, in sintesi, la conclusione degli studi effettuati dall’IPCC, raccolti in cinque rapporti pubblicati tra il 1990 e il 2013.
In particolare, nel 2013, il totale delle emissioni di CO2 ha superato i 35,3 miliardi di tonnellate, contro i 23 miliardi di tonnellate nel 1990. Tra il 1980 e il 2011, il cosiddetto "forcing antropogenico" (la parte del riscaldamento causato dalle attività umane) è raddoppiato con l’emergere di nuovi paesi industrializzati e l’aumento della popolazione.
Inoltre, il quinto rapporto ha evidenziato come – a causa del riscaldamento climatico – il ghiaccio si è sciolto, il livello del mare è aumentato e le concentrazioni dei gas serra sono aumentate. Ricordiamo che la combustione di carbone, petrolio e gas è all’origine dell’attuale crescita del tasso di CO2.
Così, al fine di evitare che i risultati emersi dagli studi dell’IPCC rimanessero lettera morta, nel vertice di Rio de Janeiro, durante il Summit sulla Terra – nel 1992 – è stata adottata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Quest’ultima si propone come obiettivo di «stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a un livello tale da impedire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico». Attraverso tale convenzione, i Paesi partecipanti hanno riconosciuto l’esistenza dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo (di origine antropica), assumendosi buona parte delle responsabilità e, allo stesso tempo, hanno assunto l’impegno di trovare delle soluzioni per porre un freno a tale situazione. Vertice importate anche perché, a sua volta, ha gettato le basi per la stesura del già citato Protocollo di Kyoto (nel corso del Conferenza COP3).
Dal 1992, diverse sono state le conferenze sui cambiamenti climatici. Tuttavia, l’obiettivo rimane sempre lo stesso:la riduzione delle emissioni di gas serra. Alla luce di tutto ciò, è auspicabile che la COP21 venga intesa come un’opportunità concreta per tutelare le generazioni future e non come l’ennesima retorica vetrina internazionale, priva di interventi risolutivi.
